Film

“Carie”, un film sull’arrampicata nelle cave di marmo delle Apuane

Pensando alle Alpi Apuane sono due gli elementi che balzano immediatamente alla mente. Il primo è il loro profilo aspro, così differente dalle vette propriamente appenniniche che, come racconta la leggenda ad esse legate, sembra legato a una sorta di errore geografico di posizionamento, un “pezzo” di Alpi realizzato da entità celesti al posto sbagliato. Il secondo sono le cave di marmo scavate nel cuore delle Apuane, argomento oggi particolarmente dibattuto. Alle cave di marmo di Carrara, al fascino paradossale di queste bianchi voragini, è dedicato un documentario dal titolo “Carie” (Italia, 2019, 26′), disponibile sulla piattaforma Itaca on Demand. Un documentario che parla di un territorio ferito e delle potenzialità dell’arrampicata come mezzo di riqualificazione.

Sinossi

Carie è un film-documentario curato da Marzio Nardi insieme ad Achille Mauri e Federico Ravassard e realizzato presso le cave di marmo di Carrara. Un progetto che parte dall’arrampicata e si estende al rapporto con un territorio ferito, come quello delle Alpi Apuane, montagne distrutte dall’attività estrattiva. Da qui nasce l’idea di Marzio, Achille e Federico: non limitarsi a fare fotografie, ma dare voce a un territorio, una comunità. Soprattutto studiare quel rapporto tra montagna, verticalità e ostinazione, che rappresentano l’anima di questi luoghi, riportandoci in qualche modo all’anima dell’arrampicata. Ed è cosi che spazi dimenticati diventano teatro per nuovi gesti e l’arrampicata si manifesta come unico mezzo di riqualificazione che può restituire a questo luogo dignità e fascino.

“Carie è il risultato di un viaggio durato mesi, nato grazie all’ossessione di Marzio per quegli spazi che una persona normale riterrebbe, semplicemente, brutti. Dopo la prima giornata passata in quelle voragini bianche ci siamo resi conto che la situazione era ben più complessa di quanto pensassimo. Quelle linee perpendicolari custodivano una quantità infinita di paradossi: come faceva qualcosa di così bello ad essere nato dalla distruzione sistematica di una montagna? Più giorni passavamo lì e più dovevamo fare i conti con i controsensi. Così abbiamo cominciato a fare domande a chi, lì, ci viveva: minatori, geologi, ambientalisti. E poi noi, gli scalatori. Ogni individuo concepiva le cave delle Apuane secondo un punto di vista direttamente collegato alla sua attività. A collegarci tutti c’era il fascino con cui il marmo, elemento apparentemente privo di vita, aveva catturato le nostre menti.”

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