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Giancarlo Grassi, il re del ghiaccio

Esponente di spicco del “Nuovo mattino”, lo scalatore piemontese aprì almeno 50 vie nel Gruppo del Bianco e circa 800 linee su falesie. Straordinarie le sue imprese sulle cascate di ghiaccio. L’ultima, sui Sibillini, gli fu fatale l’1 aprile 1991

“Gian Carlo era come una sorgente di luce creativa che ha illuminato un’epoca, la sua scomparsa ha lasciato tanti orfani.”

Roberto Mantovani

Gian Carlo Grassi

Oltre 800 vie aperte su falesie e strutture di fondovalle, oltre 300 in alta montagna dove spiccano 50 nuovi itinerari nel massiccio del Monte Bianco. Poi le cascate di ghiaccio, non ci sono numeri certi, ma sicuramente si avvicinano al migliaio. Protagonista del Nuovo Mattino, arrampicatore sublime, innovatore e irrefrenabile appassionato della montagna da vivere in tutte le sue forme.

Cultore dell’effimero, amante dell’estremo, ragazzo stupito e assetato di conoscenza, Gian Carlo Grassi è stato molte cose nella sua vita breve, ma intensa. Con la sua morte è come se fosse finito un ciclo che ci ha consegnati a un nuovo millennio. Se n’è andato il primo aprile del 1991, per uno sfortunato incidente sul ghiaccio d’Appennino. L’hanno pianto in molti, anche gli amici andati prima del tempo protagonisti, con lui, di un’era che è stata scanzonatamente tragica.

La vita

Gian Carlo Grassi nasce a Condove, alle porte della Valle di Susa, nella casa di campagna dei genitori sfollati da Torino durante la guerra. È il 14 ottobre del 1946 quando viene alla luce, ancora incosciente del contribuito che avrebbe offerto al mondo dell’alpinismo, non solo italiano ma internazionale. Dopo gli anni dell’infanzia e degli studi elementari e secondari inferiori si applica, come il padre, presso la scuola Paravia di Torino, dove studia disegno grafico.

Terminati gli studi inizia a lavorare come grafico, attività che porta avanti fino ai suoi 25 anni. Nel 1972 viene poi colpito da una grave forma di tubercolosi, a cui seguono mesi di sanatorio. Alle dimissioni riceve un sussidio di 60mila lire al mese, per sei mesi. Soldi che gli permettono di lasciare il lavoro di grafico per dedicare più tempo alla montagna, portando comunque avanti altre attività parallele. In questo periodo effettua i lavori più disparati, diverse stagioni invernali le trascorre sugli impianti sciistici dell’ovest alpino, mentre in autunno lo si trova spesso nel sud della Francia, a vendemmiare. Luogo fortunato la Francia per Gian Carlo Grassi che proprio durante un autunno francese conosce Nicole, che sarebbe diventata la sua futura moglie. Con lei, dopo aver ottenuto il patentino di guida alpina, si sarebbe trasferito stabilmente nella sua casa natale di Condove.

Gian Carlo Grassi muore il primo aprile del 1991, di lunedì, per un banale incidente su ghiaccio. Succede in Appennino, sul Monte Bove, durante la discesa da una cascata. Un piede in fallo su una cornice, il distacco, il volo. Gli amici gli corrono incontro e lo trovano ancora vivo. Arrivano i soccorsi, lo elitrasportano all’ospedale di Camerino, ma i traumi riportati sono troppo gravi e la sua vita si spegne di lì a poco.

La montagna

Quando si parla di Gian Carlo Grassi non si può parlare solo di alpinismo. La sua è una passione totalizzante, che guarda alla montagna a 360 gradi con gli occhi di un bambino. “Anche a 40 anni vedeva meraviglia nella montagna, era Peter Pan” dice di lui l’alpinista e scrittore Enrico Camanni.

Ad avvicinarlo al mondo delle terre alte è un compaesano di Condove, chiamato da molti “zio Michele”. È con lui che muove i primi passi verso l’alto, sui sentieri che salgono dietro casa. In breve poi gli orizzonti si ampliano e il giovane Grassi scopre le prime cime e le prime vette. Sale tutte quelle della zona, ma siamo ancora lontani dalle difficoltà che l’avrebbero stregato.

L’alpinismo lo scopre nella Scuola Nazionale di Alpinismo Giusto Gervasutti, di cui diventa istruttore nel 1968. Qui trova i suoi compagni di cordata e le amicizie, come quella che lo lega a Gian Piero Motti. Insieme a lui è uno degli esponenti di spicco del “Nuovo Mattino” il movimento alpinistico che rivoluziona il modo di intendere la montagna spogliandola di quegli ideali nazionalistici, dell’ego del superuomo, degli scarponi, del CAI e della vetta a ogni costo. Il nuovo alpinismo parla di ribellione, di nuove difficoltà, di libertà. Anche per questa differente filosofia Grassi lascia in breve il ruolo di istruttore alla Gervasutti.

Nei primi anni Settanta inizia un periodo particolarmente proficuo per lo scalatore valsusino. Sul Mont Blanc du Tacul mette a segno il Pilier Gervasutti e poco dopo affronta lo Sperone Walker alle Grandes Jorasses. Poi arriva la tubercolosi e un periodo di stop forzato. Pausa da cui rinasce, grazie al sussidio che gli offre l’opportunità di spendere molto del suo tempo tra le montagne. Si iscrive al corso guide e dedica ogni secondo libero alla scalata.

Nel 1978 l’approdo al mondo del ghiaccio con la salita dell’’Ipercouloir delle Grandes Jorasses, insieme a Gianni Comino con cui avrebbe realizzato una sequenza di salite estreme. In breve Grassi diventa un punto di riferimento per il mondo del ghiaccio, per comprendere come abbia influenzato questa attività è sufficiente prendere in mano una guida alle cascate della Valle di Cogne e vi sarà subito chiaro il valore delle sue esperienze. “Ha sempre tenuto le cascate lontane dall’alpinismo, non le ha mai vissute come un’attività propedeutica alla scalata in montagna, spiega il giornalista e amico Roberto Mantovani. Ed è in questo nuovo modo di intendere la pratica che sta la sua rivoluzione.

Alcune delle cascate più dure, salite a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, portano la sua firma, tra cui Repentance Super, per alcuni anni la linea più dura della Valle d’Aosta. Tra gli aspetti più affascinanti della sua passione per il ghiaccio vi è la ricerca dei couloir fantasma, canali dove le rigide temperature invernali con ghiaccio e neve consolidano il detrito permettendo salite altrimenti impossibili nei mesi estivi. Strutture ancor più effimere delle cascate in sé, nuove frontiere per l’esplorazione.

Ma Gian Carlo Grassi non è solo ghiaccio, in Valle di Susa compie una proficua attività boulder, svelando le potenzialità di questi blocchi. In alta montagna vive un periodo di salite lampo sulle fragilità dei seracchi, come nell’estate del 1979 quando con Gianni Comino affronta due seracchi in pochi giorni. Il 4 luglio quello del col Maudit, l’11 agosto quello a sinistra della Poire. Quello di destra l’avrebbe provato Comino, in solitaria, nel gennaio del 1980 e un crollo di ghiaccio l’avrebbe ucciso quando ormai si sarebbe trovato verso l’uscita.

Gli anni successivi per Grassi sono una continua e instancabile ricerca. Se c’è una striscia di ghiaccio, prima o poi Gian Carlo ci mette mano. Sale cascate in Valle di Cogne, nella sua Valle di Susa e nelle vicine Valli di Lanzo, senza dimenticare Val Varaita e Val Maira. Nel 1983 affronta, con Isidoro Meneghin, il Pilastro Vincent sul Monte Rosa. Poi vive alcuni anni di spedizioni extraeuropee tra America e Asia.

Impossibile riassumere in queste righe tutte le realizzazioni di Gian Carlo Grassi. “La sua vita era immaginazione, era azione” afferma Camanni. Una breve vita, spentasi a soli 44 anni, ma vissuta al pieno delle potenzialità, senza lasciare che nessuna giornata andasse sprecata, nelle continua ricerca di una piena soddisfazione. Gian Carlo Grassi non è mai stato uomo da copertine patinate, a queste realtà ha sempre preferito i fatti spendendo il suo tempo in montagna. Poco conosciuto alle masse, ha lasciato all’alpinismo molto più dei riconoscimenti ottenuti in vita.

Le principali ascensioni (alpinismo e arrampicata)

Le cascate di ghiaccio (le più significative)

Curiosità

Per molti anni Gian Carlo Grassi è stato soprannominato, dai giovani della scuola Gervasutti, “Calimero”. Un soprannome che, spiega l’amico Elio Bonfanti, non ha nulla a che vedere con “il pulcino sfigato”. Quel nomignolo glielo diede invece Gian Piero Motti “ai piedi del Castello Provenzale, in Val Maira, dopo un bivacco. Quando l’ha visto sbucare dal sacco a pelo con il suo casco bianco in testa, pantaloni neri, calzettoni gialli e pieno delle piume del sacco ha esclamato: sembri proprio Calimero!”.

Onorificenze

Libri

Film

2009 – L’uomo dal Giardino di Cristallo, di Angelo Siri.

“Anche sulla Nord dell’Eiger ci si può divertire, anche nel mezzo di una bufera si può essere sereni, anche su un Ottomila si può arrivare senza voler vincere la montagna. Non riesco a vedere espressioni negative nella Natura, nemmeno nella morte, anzi.”

Gian Carlo Grassi

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