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Torna a far parlare il mistero dei gioielli perduti di Air India sul Monte Bianco

Le tragedie che avvengono sul Monte Bianco, anche se non coinvolgono alpinisti famosi, riescono sempre a incuriosire il pubblico. Se alla tragedia si affianca il mistero legato a una scatola piena di pietre preziose, l’attenzione può diventare fortissima. 

La curiosità del pubblico e dei media francesi (ma ne hanno parlato anche molti giornali italiani) è legata alla sentenza di un tribunale transalpino. A otto anni dal ritrovamento, in mancanza di eredi legittimi, le pietre preziose sono state divise al 50% tra la persona che le ha scoperte e il Comune di Chamonix, nel cui territorio è stato ritrovato il tesoro. Secondo gli esperti del tribunale le pietre preziose hanno un valore di circa 300.000 euro. La parte di proprietà del Comune verrà esposta da domenica 19 dicembre nel nuovo Musée des Cristaux- Éspace Tairraz, che riaprirà le poste al pubblico dopo essere stato completamente rinnovato.

Del giovane autore del ritrovamento conosciamo soltanto il nome, Raphaël. Sappiamo che vive in Tarentaise, sul versante francese del Piccolo San Bernardo, e che al momento del ritrovamento era poco più di un ragazzo.       

Il ritrovamento

Mi piace salire verso i ghiacciai, l’11 agosto 2013 sono partito alle 5 di Chamonix, e sono arrivato alla morena laterale del ghiacciaio dei Bossons. Sapevo che sul Monte Bianco si erano schiantati degli aerei, e che più volte, nella parte bassa del ghiacciaio, erano tornati alla luce lamiere, pezzi di carrello e altri resti” ha raccontato qualche giorno più tardi Raphaël. Ho visto una pietra, mi è sembrata giada, l’ho messa in tasca. Qualche passo più avanti ho visto una scatola di metallo, senza coperchio, piena di sacchetti con la scritta Made in India. Ne ho aperto uno, ed era pieno di gioielli, credo che fossero zaffiri” ha proseguito il ragazzo. Al ritorno in fondovalle, invece di portare a casa il tesoro, Raphaël lo ha consegnato alla polizia. “Che avrei dovuto farne, seppellirlo in giardino? Oppure andare ad Anversa per venderli?” ha detto il ragazzo all’epoca, stupito della domanda che gli era stata fatta da un cronista. 

Le tragedie dei due aerei dell’Air India

La vicenda dei gioielli ritrovati nel 2013 ha ricordato all’opinione pubblica e ai media due tragedie del dopoguerra, che hanno coinvolto due aerei dell’Air India.

Il 3 novembre 1950 il Malabar Princess, un Lockheed Constellation dell’Air India, un quadrimotore turboelica in volo da New Delhi a Londra, tenta di scavalcare il massiccio prima di scendere verso Ginevra. Ma vola troppo basso, e quelle poche decine di metri causano una catastrofe. Il tempo è pessimo, il Monte Bianco è avvolto da una tempesta di neve. Poco dopo le 10.30 le comunicazioni con i controllori di volo s’interrompono, e il Malabar Princess si schianta a 4677 metri di quota contro il Rocher de la Tournette, l’ultimo dosso della cresta delle Bosses prima della calotta nevosa della cima. Le 48 persone a bordo muoiono sul colpo, per due giorni la bufera impedisce di individuare il relitto. Poi un pilota svizzero scopre i resti della carlinga sulla neve a poca distanza dalla cresta, e le ali sul ghiacciaio, a centinaia di metri dal punto dell’impatto. Il 6 novembre, quando guide alpine e gendarmi stanno finalmente per raggiungere il relitto, uno dei soccorritori cade in un crepaccio e viene schiacciato da sei metri di neve. Si chiama René Payot, è una guida di Chamonix, diventa la vittima numero 49 della tragedia. Nei giorni successivi, guide e gendarmi riferiscono che l’aereo si è schiantato contro la montagna ed è esploso. I resti carbonizzati dei passeggeri e dell’equipaggio vengono lasciati dove sono. Vengono portati a Chamonix solo sessanta chili di posta.

Sedici anni dopo il Malabar Princess, si schianta contro il Bianco un altro aereo della compagnia di bandiera di New Delhi. E’ il 24 gennaio 1966, il velivolo è un Boeing 707, un jet in viaggio tra Bombay e New York, con 117 persone a bordo. Si chiama Kangchenjunga come la cima più alta dell’India, e il suo nome sembra una tragica ironia.   

Nei decenni successivi, dal ghiacciaio dei Bossons, tornano alla luce resti umani, frammenti di entrambi gli aerei, giornali e documenti, sacche di corrispondenza diplomatica. L’oggetto più grande, la ruota di uno dei carrelli, viene sistemato accanto a un bar, a pochi minuti di cammino dalla superstrada del Traforo.

Il mistero degli schianti

Fin dall’inizio si mormora che uno dei due aerei, o forse entrambi, avessero a bordo dei gioielli. Alcune fonti affermano che sul ghiacciaio siano tornati alla luce anche pezzi di un aereo diverso dal Constellation e dal Boeing dell’Air India. Qualcuno insinua che ad abbattere il Kangchenjunga sia stata la collisione con un aereo militare.  Altri giornali fanno notare che sul volo 101 viaggiava il fisico Homi Jehangir Bhabha, padre del programma nucleare civile e militare dell’India. E che quindi l’incidente avvenuto sul Monte Bianco poteva essere un attentato, forse di matrice pakistana. 

Le lentezze e le inefficienze nelle ricerche dei due relitti, e la morte della guida René Payot, creano molta impressione in Francia. Nei giorni a cavallo tra il 1956 e il 1957, l’opinione pubblica e i media transalpini vengono ancora più colpiti dall’incapacità di soccorrere Jean Vincendon e François Henry, due alpinisti saliti il giorno di Natale del 1956 per lo Sperone della Brenva, bloccati dalla neve e dalla stanchezza al margine del Grand Plateau, 4000 metri di quota, e morti di freddo senza essere recuperati. Anche per questo motivo viene creato il PGHM, il Péloton de Gendarmerie de Haute Montagne, che si occupa oggi dei soccorsi sul versante francese delle Alpi, e che oggi è una delle strutture di soccorso più efficienti del mondo. 

Negli anni, la catastrofe del Malabar Princess ispira scrittori e registi. Il romanzo La neige en deuil (“La neve in lutto”), del francese Henri Troyat, diventa nel 1956 il film americano The mountain, diretto da Edward Dmytryk, e che ha come protagonisti Spencer Tracy e Robert Wagner. La pellicola ha un buon successo di pubblico, e viene doppiata in italiano. 

Oggi l’arrivo di metà dei gioielli a Chamonix riporta questa storia davanti agli occhi del pubblico. “Negli ultimi otto anni si sono fatti vivi una decina di eredi di passeggeri del volo 101, cercando di dimostrare che le pietre appartenevano a loro, ma alla fine si è rivelato tutto falso” spiega Éric Fournier, sindaco di Chamonix. “Racconteremo la storia di queste pietre, e in questo modo renderemo anche omaggio alle vittime”.

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