
La comodità potenzialmente inaffidabile delle app
Innanzitutto è importante documentarsi sui servizi regionali ufficiali, per esempio la Protezione Civile in Trentino e in Valle D’Aosta, le ARPA tra Piemonte, Lombardia e Veneto, l’Osmer (Osservatorio meteorologico regionale) per quanto riguarda la Carnia, l’Università di Trieste per le Alpi Giulie. Si deve far riferimento ai servizi regionali, perché la previsione ha bisogno di essere molto centrata e per averne di pertinenti occorre affidarsi a persone che abbiano una buona conoscenza della zona. Meglio evitare di usare esclusivamente le app: anche se pratiche e sempre a portata di tap, non forniscono vere e proprie previsioni, ma riprendono il modello così com’è, attraverso quello che in meteorologia viene chiamato in gergo GRIB (GRIdded Binary o General Regularly-distributed Information in Binary form). Si tratta della griglia del modello numerico, che consente di avere un certo numero di parametri per ogni punto, ma senza nessuna elaborazione previsionale. Questo significa che se il modello è giusto non ci sono problemi, ma se il modello è sbagliato – e in zone montuose succede una volta su due – rischiamo di fare affidamento su delle previsioni che non sono attendibili.
Meteo sbagliato e incidenti
Molte persone, per una questione di praticità, fanno riferimento a questo tipo di app, ma ciò può portare, purtroppo, a incidenti che possono essere anche drammatici, come quello delle due ragazze sul Monte Rosa. Anche sulle Dolomiti ci sono state decine di casi di questo genere: legati non al fatto di non essere preparati, ma a un riferimento meteo che non è quello adeguato. In alta montagna fino a quando le condizioni sono ottime tutto sembra più semplice, ma dal momento in cui c’è una degradazione meteo – per esempio un temporale, una grandinata, un calo termico – la situazione può diventare problematica molto in fretta. Il vento stesso, che magari non è stato previsto nel modo giusto, provoca quello che si chiama effetto wind chill (wind = vento, chill = gelare, gelido), che è l’effetto raffreddante del vento in alta quota. Con temperature intorno ai 10 gradi non ci sono grosse difficoltà, ma quando si è intorno allo zero e il vento ha una velocità di 50km/h, la temperatura avvertita può essere dell’ordine di -10 °C. Se si rimane esposti a un vento simile per più ore si può andare verso problemi di assideramento.
Ci sono poi dei parametri da conoscere molto bene: la quota dello zero termico, l’andamento delle temperature, il vento e soprattutto se il tempo si manterrà buono o meno, perché se la stessa gita in montagna che magari abbiamo fatto più volte col sole ci è sempre sembrata molto semplice, in condizioni avverse può presentare delle insidie che non avevamo considerato. Ogni anno ci sono persone che per disattenzione, per non aver preso come riferimento delle buone previsioni, per non aver saputo leggere il bollettino o per non aver voluto rinunciare a raggiungere la meta anche se dopo una certa ora veniva previsto maltempo, corrono rischi importanti. Un problema è costituito anche dalla tempistica: può essere previsto un temporale che può arrivare un po’ in anticipo, oppure possiamo essere noi a impiegare più tempo a fare l’escursione…
Utilizzare i radar e leggere i bollettini
Col telefonino l’alpinista ha però con sé un mezzo potente: può controllare le immagini radar che danno la posizione e l’intensità delle piogge in atto con venti minuti di ritardo rispetto alla fenomenologia stessa misurata dal radar. Su tutto l’arco alpino, dal Friuli al basso Piemonte, vi è un mosaico radar che consente di capire cosa stia succedendo e dove siano i focolai temporaleschi. Questo permette sostanzialmente di fare nowcasting, ovvero una previsione a breve termine fatta da sé.
Quando si legge un bollettino meteo, si passa da cielo generalmente sereno o poco nuvoloso, parzialmente nuvoloso fino a cielo molto nuvoloso o coperto… Con molto nuvoloso o coperto si intende che comunque la visibilità sarà molto scarsa e avremo quello che nel gergo dell’alta montagna viene chiamato whiteout, ovvero quella luce bianca che appiattisce ogni cosa, non si definisce più né la neve né le nubi, dà senso di vertigine, limita molto la visibilità e, soprattutto in zone in cui i sentieri non sono ben segnati, si rischia di smarrirsi.
Questa nuvolosità deve poi essere associata a dei fenomeni, e lì il previsore può mettere piogge diffuse, sparse, locali, rovesci anche temporaleschi… Nel momento in cui subentra la parola “temporale”, bisogna andare a vedere bene sia la percentuale sia la tempistica del verificarsi di questi fenomeni. Chi va in montagna ha bisogno di informazioni precise, questo rende più denso il bollettino, ma vi si possono trovare tutte le informazioni che servono: la nuvolosità, i fenomeni, la tempistica di questi, il vento e la sua intensità, non solo da un punto di vista qualitativo, ma anche quantitativo.
Questione di nuvole
Le nuvole più pericolose sono i Cumulus congestus oppure i cumulonembi, ma se ci troviamo al loro interno è complicato capire di quale tipologia si tratta. In ogni caso, appena vediamo dei “cavolfiori” che si formano nel cielo libero vuol dire che si tratta di nuvolosità di tipo cumuliforme e se tendono a intensificarsi sono appunto le due citate poco fa, che possono sfociare in manifestazioni temporalesche. Se ci vengono incontro, meglio scendere a valle, se possibile farlo in poco tempo, altrimenti optiamo per un rifugio in quota. Anche le nuvole più innocue, però, possono dare “fastidio”: può capitare che la previsione sia di bella giornata, con solo qualche stratocumulo – quindi delle nubi che stanno addossate alle montagne, ma non hanno nessuno sviluppo, ovvero non vanno a determinare piogge. La visibilità, però, per chi è su quella montagna, non è buona, anzi: è una gran brutta giornata con nebbia tutto il giorno. Non si tratta più di maltempo, ma di visibilità ridotta per una nuvola che si plasma a ridosso della montagna.