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Cambiamenti climatici: meno valanghe, a quote sempre maggiori

Il cambiamento climatico sta causando evidenti alterazioni degli equilibri in ambiente montano. Dalle Alpi all’Himalaya specie vegetali e animali stanno salendo progressivamente in quota, come conseguenza del surriscaldamento globale. E se vi dicessimo che anche le valanghe stiano mostrando una tendenza a verificarsi a quote sempre più elevate? A descrivere tale dinamica e le cause ad essa sottese è un paper di recente pubblicazione sulla rivista scientifica PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the Unites States of America) dal titolo “Upslope migration of snow avalanches in a warming climate”.

Meno valanghe, a quote maggiori

C’è da premettere che lo studio non abbia preso in considerazione l’intero globo ma nello specifico l’area dei Vosgi, catena montuosa nel nord-est della Francia. Il team, coordinato dalla dottoressa Florie Giacona della Université Grenoble Alpes, ha raccolto dati storici per ricostruire le valanghe verificatesi nella zona dal 1780 al 2013. La lista ammonta a oltre 730 eventi, dei quali è noto il dove e il quando. La scelta dei Vosgi non è stata certo casuale né effettuata per comodità. Trattasi di un’area alpina abitata da secoli, sia nelle valli che sui pendii, il che assicura di poter disporre di sufficienti testimonianze di valanghe verificatesi nel corso di secoli – foto, appunti, documenti amministrativi, cartoline, guide turistiche, mappe disegnate a mano e quant’altro – tali da poter condurre uno studio scientifico.

L’analisi dei dati relativi alle valanghe, alla temperatura e alle precipitazioni riferiti al periodo 1780-2013, come riportato nella sintesi del paper, ha evidenziato “una inequivocabile migrazione verso quote più elevate delle valanghe in conseguenza del cambiamento climatico, un meccanismo fisico la cui esistenza non poteva essere dimostrata prima d’ora. Nei Vosgi risulta evidente che l’incremento di 1,35°C della temperatura media invernale abbia comportato una riduzione di 7 volte del numero di valanghe, così come riduzione delle loro dimensioni e un accorciamento della stagione in cui esse tendenzialmente si verificano. Tali risultati dimostrano che catene montuose di quote medio-basse possano rappresentare delle perfette sentinelle per anticipare cambiamenti futuri nei processi legati alle precipitazioni nevose e relativi rischi su catene montuose più elevate e dunque possano aiutare nel definire in tempo utile strategie efficienti di adattamento.”

Alla fine della Piccola Era Glaciale tutto cambia

Scendendo nel dettaglio, all’inizio della serie storica (a partire dal 1780) le valanghe risultano essere intense e diffuse a tutte le quote. Tra il 1850 e il 1920, con la fine della Piccola Era Glaciale e l’aumento della temperatura media invernale di quasi 1 grado e mezzo, ecco che tutto cambia: condizioni di innevamento sempre più scarse a quote medio basse (600-1200 m) si accompagnano a una migrazione degli eventi valanghivi a quote superiori. Valanghe, come anticipato, di dimensioni più piccole, in numero minore e concentrate in un periodo più breve rispetto ai decenni precedenti.

Guardare in basso per capire cosa succederà in alto

Nelle conclusioni del paper gli scienziati suggeriscono di tenere d’occhio le catene montuose più basse come i Vosgi, per prevedere cosa potrebbe accadere a quote più elevate con un ulteriore innalzamento delle temperature medie globali.

Come evidenziato in una intervista rilasciata al magazine Popular Science da Nicolas Eckert, altro autore del paper, statistico presso la Université Grenoble Alpes, non si vuole con ciò affermare che lo scenario dei Vosgi si possa ripetere tal quale su tutte le altre catene montuose del Pianeta.

Per certo si sa che al crescere della temperatura, le precipitazioni nevose tendono a diminuire. E senza neve non ci possono certo essere valanghe. Le slavine però non dipendono soltanto dalla presenza o meno di neve, ma anche dalla temperatura degli strati nevosi, dalla “architettura” stessa degli strati depositati. Una serie di fattori che complicano le analisi. In alcune aree d’alta quota su Alpi e Himalaya assistiamo anzi a un aumento delle nevicate e delle valanghe. “Le valanghe persisteranno in molte aree, ma sicuramente la loro frequenza diminuirà alle quote più basse”, dichiara Eckert.

Se diminuiscono le valanghe, diminuisce il rischio?

Secondo tali premesse, il team si pone ora di allargare lo spettro d’azione della propria ricerca, cercando di indagare secondo il medesimo modus operandi altre catene montuose. Altro aspetto che si cercherà di valutare è se, al diminuire delle valanghe si associ anche una diminuzione del rischio, che ricordiamo essere “l’eventualità che, in una data zona, una valanga prefigurata e/o attesa si verifichi incidendo sull’ambiente fisico in modo da arrecare un danno all’uomo o alle sue attività” (Arpa Lombardia).

“Possiamo ad oggi calcolare in maniera facile il rischio valanghe per le abitazioni e le persone che vi risiedono – spiega Eckert – ma quando si parla invece di persone dedite ad attività all’aperto, diventa tutto più complicato. Non è così scontato che la diminuzione del numero di valanghe comporti una diminuzione del rischio.”

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Un commento

  1. Non è che ci voleva tanto studio per capire che se aumentano le temperature e nevica sempre più in alto, di conseguenza le valanghe diminuiscono a quote basse e si verificano sempre più a quote più alte

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