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Quante specie vivono nei fiumi e laghi alpini?

37 laghi e 23 fiumi europei, monitorati con le tecnologie più innovative, sono i protagonisti di uno dei più estesi censimenti della biodiversità lacustre e fluviale dell’intera regione alpina. Grazie al progetto Ecoalpswater, coordinato dalla Fondazione Edmund Mach nell’ambito di un consorzio che vede coinvolti 12 partner localizzati in Italia, Austria, Francia, Germania, Slovenia e Svizzera, sono state messe a punto mappe dettagliate di distribuzione qualitativa e quantitativa in grado di localizzare specie chiave di valore ecologico e sanitario, quindi anche eventuali minacce.

Un’iniziativa co-finanziata dall’European Regional Development Fund attraverso il programma Interreg Spazio Alpino. L’obiettivo generale del progetto, che vede coinvolti l’ISPRA di Roma e l’ARPA del Veneto e, in qualità di osservatori, le Agenzie per l’ambiente della Provincia Autonoma di Trento, della Provincia Autonoma di Bolzano, della Lombardia e del Friuli Venezia Giulia, era monitorare la qualità delle acque lacustri e fluviali della regione alpina con tecniche di metagenomica basata sull’analisi del DNA degli organismi acquatici contenuto nei campioni ambientali.

In Trentino i corpi d’acqua monitorati con la collaborazione dell’APPA di Trento comprendono i laghi di Garda, Caldonazzo, Ledro e Serraia e il fiume Adige. Nel lago di Ledro le attività di ricerca sono state promosse con la stretta collaborazione del progetto AcquaViva finanziato dalla Riserva di Biosfera Unesco Alpi Ledrensi e Judicaria.

Come evidenziato dal dottor Nico Salmaso, coordinatore del progetto, “le analisi dei campioni di DNA ambientale hanno permesso di identificare un’elevatissima biodiversità acquatica, basata sull’esame di decine di milioni di sequenze di DNA estratto o rilasciato nell’ambiente da organismi appartenenti ai batteri, cianobatteri, microalghe e pesci. E la cosa straordinaria è che queste analisi hanno permesso di identificare gruppi di organismi prima difficilmente riconoscibili utilizzando tecniche tradizionali, quali la microscopia.

Si tratta in particolare di organismi che sfuggono alle analisi tradizionali perché presenti in basse quantità o difficilmente riconoscibili. Tra questi anche una specie ascrivibile a cianobatteri di origine tropicale (Cylindrospermopsis raciborskii), rilevata per la prima volta nel Lago del Frassino, subito a sud del Lago di Garda.

In Europa, la diffusione di questa specie invasiva è stata legata agli effetti dei cambiamenti climatici. Nelle regioni alpine italiane è stata, inoltre, chiarita la distribuzione di altre specie di cianobatteri potenzialmente tossigenici, quali Planktothrix rubescens e Tychonema bourrellyi, entrambe rilevabili nei laghi di Garda, Ledro, Iseo e Como, mentre Planktothrix è stata rilevata sistematicamente in tutto l’areale alpino. Le concentrazioni di tossine prodotte nelle acque lacustri da questi cianobatteri rimangono tuttavia ampiamente al di sotto delle linee guida proposte nel 2020 dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità per l’utilizzo delle acque per scopi potabili e ricreativi.

Nell’incontro conclusivo del progetto, svoltosi nei giorni scorsi, sono stati presentati i risultati delle analisi condotte per la rilevazione della fauna ittica nell’areale alpino sempre mediante l’esame del DNA ambientale. Un’ulteriore serie di analisi su campioni comuni coordinata da FEM in collaborazione con l’INRAE in Francia e con un’azienda privata inglese hanno permesso di verificare l’ottima confrontabilità delle metodiche adottate per la determinazione della fauna ittica, e una buona corrispondenza con i risultati ottenuti con le indagini tradizionali basate sullo studio diretto dei pesci mediante la posa di reti ed elettropesca.

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