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Mummery, il Grépon e la via più difficile alle cime più difficili

Una mattina d’inizio agosto del 1881, tre uomini attaccano una delle vette più belle del Monte Bianco. Un anno prima, osservando il Grépon dai Grands Charmoz, l’inglese Albert Frederick Mummery e le guide svizzere Alexander Burgener e Benedikt Venetz hanno scoperto un formidabile problema. Secondo gli appunti di Mummery, la cresta del Grépon sembra “del tutto insormontabile”, ha “pinnacoli di granito alti trenta e più metri”, e culmina in una vetta che “rivaleggia con il Dente del Gigante”. Ma un aspetto così arcigno, per l’inglese e le sue guide, è un invito a tentare.  

La cordata

Le guide sono molto diverse tra loro. Burgener è enorme, forzuto, con una gran barba e l’aspetto di un orso. Benedikt Venetz è piccolo, magro, con la pelle scura e il naso aquilino. Colleghi e clienti lo chiamano l’Indien, “l’Indiano”. Entrambi sono abituati alle stranezze dell’inglese. Albert Frederick Mummery è un gentiluomo, uno sportivo, un campione di understatement, il modo tipicamente britannico di raccontare momenti drammatici minimizzando le difficoltà e i pericoli. E’ alto, magro come un chiodo, leggermente stempiato. Scrive benissimo, con leggerezza ed eleganza.

Un anno prima e l’absolutely impossible by fair means

Quando racconta quei giorni in My climbs in the Alps and Caucasus, Le mie scalate nelle Alpi e nel Caucaso nella versione italiana, l’inglese paragona la noiosa ascensione del Monte Bianco “al mulino di disciplina nel quale i forzati inglesi sono costretti a lavorare senza soste”.

La via più difficile alle cime più difficili è sempre la cosa giusta da tentare, mentre i pendii di sgradevole pietrisco vanno lasciati agli scienziati” continua. Il Grépon, scriverà dopo l’ascensione, merita di essere salito perché “da nessuna altra parte l’alpinista troverà torrioni più arditi, fessure più selvagge, precipizi più spaventosi”.    

L’inglese e i due svizzeri iniziano a dedicarsi alle Aiguilles de Chamonix un anno prima. Alle prime luci del 14 luglio 1880, mentre salgono dal rifugio dei Grands Mulets verso la cima del Bianco, Mummery urla “enough!”, “basta!”. I tre stanno camminando da tre ore, per la cima ne mancano almeno altrettante. La cordata fa subito dietrofront, e ridiscende verso il rifugio e Chamonix, ma il bel tempo di luglio non dev’essere sprecato. All’alba dell’indomani, dopo un’altra partenza notturna, i tre stanno già sulla morena del ghiacciaio dei Nantillons. L’obiettivo sono i Grands Charmoz, una delle guglie più belle delle Aiguilles de Chamonix. Il primo ostacolo è un canalino verticale di ghiaccio, dove Burgener scava dei gradini con la piccozza, vi si installa e fa passare in testa Venetz. Mummery, che sale per ultimo, si affida alla “persuasiva influenza” della corda. A mezzogiorno i tre sono sui 3444 metri della cima, e l’inglese stappa una bottiglia di champagne.

Qualche giorno dopo, con il solo Burgener, Mummery tenta il Dente del Gigante. Traversa senza difficoltà dalla neve della Gengiva, si ritrova alla base di enormi placche levigate, scende lasciando un biglietto famoso. C’è scritto “absolutely impossible by fair means, “assolutamente impossibile con mezzi leali”.

Il Grépon

Un anno dopo tocca al Grépon. Il 2 agosto 1881, dopo una prima colazione annaffiata da brandy, Burgener, Venetz e Mummery attaccano la parete più impressionante della montagna, quella rivolta verso la Mer de Glace. La muraglia è alta mille metri, la voglia di bivaccare non è molta, e la cordata rinuncia. 

I tre scendono direttamente a Chamonix, poi si pentono e alle due del mattino ripartono. “In cielo non c’era una nuvola, nemmeno uno straccio di nebbia che potesse servire come decoroso pretesto alla pigrizia o all’amore per il sonno” annota Mummery. L’albergatore Couttet, irritato con l’inglese che si fa accompagnare da guide svizzere anche sulle vette di Chamonix, non fa trovare ai tre nemmeno una tazza di tè. Poi una micidiale sgambata per boschi, pascoli e morene riporta i tre uomini al ghiacciaio dei Nantillons. Un canalone battuto da scariche di sassi, e una placca levigata, li conducono alla cresta che unisce i Grands Charmoz al Grépon. 

Qui Venetz, l’Indien, supera una fessura che taglia una placca di granito alta una quindicina di metri, e che passerà alla storia come la “fessura Mummery”. Segue un foro nella roccia, che Burgener soprannomina Kanones Loch, “buco del cannone”. Dopo “una specie di crepaccio di granito”, una fessura dal bordo tagliente “che distrugge dita, pantaloni e pelle” conduce su quella che sembra la vetta. Intorno si alzano altri torrioni, ma le guide sono certe che quella sia la vera cima. Prima di scendere, Venetz costruisce un ometto di pietre, e vi lega un fazzoletto rosso. 

La vera cima del Grépon

A Chamonix, però, Mummery non riesce a dormire. A tormentare il suo sonno è la visione di “una grande torre quadrata all’altra estremità della cresta”, e che in effetti è la vera cima del Grépon. La decisione di tornare viene presa durante la prima colazione. 

Nel pomeriggio, dopo che un sarto ha riparato i pantaloni di Burgener squarciati dal granito delle Aiguilles, i tre salgono a bivaccare all’alpeggio di Blaitière-dessous. L’indomani, 5 agosto, attaccano per la terza volta. Tornano ai piedi della cima settentrionale, la aggirano a destra, poi scendono verso la Mer de Glace. 

Dopo un sorso al “contenuto di una certa fiaschetta”, si continua su una comoda cengia, che l’inglese paragona a “una larga strada percorribile da carrozze, biciclette e altri mezzi di trasporto”, e che da allora è conosciuta come la vire (cengia) à bicyclette. L’ultimo torrione sembra impossibile, e Burgener e Mummery tentano invano, più volte, di lanciare una corda sopra alla sua vetta squadrata. Allora tocca nuovamente a Venetz, che mentre gli altri due faticavano si è riposato fumando la pipa sulla cengia. 

L’inglese gli fa da scala umana nei primi metri, poi Burgener regge la piccozza verso l’alto fornendogli un appoggio precario per i piedi. L’Indien continua da solo, un centimetro dopo l’altro, “facendo vagare la mano sulla roccia in quelle vane ricerche di appigli inesistenti che sono particolarmente penose da osservare”. 

Quando Venetz afferra la sommità del torrione, gli altri lanciano grida di trionfo. Burgener sale con l’aiuto del collega, poi arriva il turno di Mummery, che prova in libera, e poi accetta di essere issato di peso. Sulla vetta, dallo zaino di Venetz esce un’altra bottiglia di champagne. 

Dopo la conquista

Negli anni che seguono, il Grépon respinge vari tentativi di ripetizione. Solo nel 1892, una comitiva di quattro inglesi senza guida (un dettaglio rivoluzionario per l’epoca!) riesce a tornare sulla cima. Stavolta Mummery sale da capocordata la fessura che oggi porta il suo nome. Sulla torre finale, scopre un passaggio facile a destra della placca di Venetz.

Passa ancora un anno, e l’inglese torna sul suo amato Grépon alla testa di una cordata che include una macchina fotografica e una donna, la signorina Emily Bristow detta Lily. L’immagine dell’inglese in maniche di camicia e bretelle, impegnato sulla fessura, diventa un’icona dell’arrampicata su granito.

Diventa celebre anche la frase dell’inglese sulle fasi attraverso le quali devono passare tutte le montagne e tutte le vie di salita. Una “cima inaccessibile” è destinata a trasformarsi nella “salita più difficile delle Alpi”, e poi in “una facile ascensione per signore”. 

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