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Come sono arrivati dei mufloni sull’Isola di Zannone?

Nel cuore del Mar Tirreno, a poche decine di chilometri dalla costa laziale, si trova un’isola particolarmente amata dagli appassionati di natura e trekking: Zannone, nell’arcipelago delle isole Ponziane. Dal 1979 compresa nel Parco Nazionale del Circeo, è oggi disabitata e riconosciuta come oasi protetta, affidata in gestione al Corpo Forestale dello Stato – Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Fogliano (oggi Carabinieri Forestali). Accanto alla vegetazione rigogliosa, con il versante Sud caratterizzato dalla macchia mediterranea e il Nord da una lecceta, e la presenza di uccelli migratori tra cui il falco pellegrino, che qui nidifica regolarmente, un elemento che la rende particolarmente interessante è la presenza di una colonia di mufloni. La domanda che sorge spontanea è come siano arrivati dei mufloni su un’isola del Tirreno.

La storia dei mufloni in Italia

Per trovare risposta dobbiamo fare un salto indietro nel tempo di qualche migliaio di anni. Iniziamo col dire che il muflone rientra nelle specie che siamo abituati a considerare parte integrante della fauna alpina e appenninica. In realtà in Italia troviamo una sola popolazione storicamente autoctona, che è quella della Sardegna. Nel resto della Penisola sono presenti numerose popolazioni introdotte.

“Storicamente autoctona” in quanto, fino a 10.000 anni fa, neanche in Sardegna si trovavano mufloni. La specie nasce infatti da una domesticazione di ovini selvatici avvenuta nella Mezzaluna fertile. Da qui, a seguito di migrazioni, i mufloni furono portati in tutta Europa. Come descritto in una ricerca del 2017, condotta presso l’Università di Piacenza dal dottor Mario Barbato, circa 4.000 anni più tardi avvenne una seconda domesticazione, che portò a una selezione di quegli ovini che garantivano una migliore produzione di lana. I mufloni, utili soltanto per la loro carne, sparirono progressivamente dall’Europa, resistendo soltanto in zone impervie della Sardegna, Corsica e Cipro. Verso il 1700, quelli che possono definirsi mufloni sardo-corsi, iniziarono ad essere trasportati nuovamente in varie zone europee, essenzialmente per scopi venatori.

Come riportato sul sito dell’IUCN, attualmente in italia, oltre che in Sardegna, “il Muflone è presente su tutto l’arco alpino dove si contano circa 40 colonie di dimensioni relativamente contenute e sull’Appennino centro-settentrionale dove risultano una ventina di colonie mediamente più consistenti. A sud la specie e presente nell’area del Gargano e sulle isole di Zannone (Latina) e Marettimo (Trapani). Nel complesso l’areale della specie si estende per circa 8500 km2”.

Il muflone di Zannone

Fatta tale premessa, arriviamo al dunque: chi e quando ha portato i mufloni sull’isola di Zannone? La specie è stata introdotta nell’isola nel 1922 proprio dalla Sardegna. Come anticipato, a scopo venatorio.

Alle tre coppie inizialmente portate a Zannone dalla Sardegna, fecero seguito altre immissioni, fino al 1971, con provenienza dalla Turchia e dall’ex Jugoslavia. Secondo uno studio del 2007 (Lucchesi et al., “La popolazione di muflone (Ovier aries) dell’Isola di Zannone (Isole Pontine): caratteristiche strutturali e demografiche”) pubblicato nel Quaderno di Studi e Notizie di Storia Naturale della Romagna, “la consistenza della popolazione ha oscillato tra un massimo di 200 capi, a metà degli anni ’50 del secolo scorso, e un minimo di 20”. Assestandosi all’epoca dell’articolo attorno ai 40-50 capi. Un dato da prendere con le pinze a causa della vegetazione fitta che rende poco agevoli i rilievi quantitativi diretti.

Come stanno i mufloni isolani?

La vita dei mufloni di Zannone non è affatto facile. Il clima è piuttosto mite e scarsamente piovoso e non sono presenti sorgenti perenni. Vi sono però impluvi torrentizi e vasche di origine artificiale che costituiscono riserve d’acqua stagnante per tre stagioni su quattro.

Ma il limite maggiore in termini di benessere degli esemplari non è certo la scarsa disponibilità di acqua. La maggiore preoccupazione da parte degli esperti è rappresentata dal fatto che la colonia dell’isola sia rimasta isolata, senza ulteriori immissioni “a scopo di rinsanguamento”, dal 1971. Il rischio è di assistere negli anni a un aumento dei fenomeni di inbreeding, ovvero di incroci tra consanguinei, che possono portare a una riduzione del tasso riproduttivo e alla comparsa di caratteri letali o dannosi. Nello studio del 2007 si paventa uno scenario di “invecchiamento” della popolazione, dovuto a un ricambio generazionale tendente allo zero.

“L’atteggiamento di scarso interesse verso specie, come il muflone, considerate, per la loro ‘alloctonia assoluta’, solo di competenza ‘venatoria’, limitano di molto le possibili informazioni che potrebbero derivare da studi ben impostati in contesti ambientali favorevoli a complete raccolte dati o a corrette campagne di campionamento, come, per l’appunto, l’isola di Zannone”, la conclusione degli esperti, che denota un tono di accusa.

La morte del Re dei Mufloni

Tono accusatorio è quello che ha tenuto nei confronti del Parco del Circeo più volte negli ultimi anni l’ex sindaco di Ponza Piero Vigorelli, denunciando il disinteresse dell’Ente nei confronti dell’isola, non solo in merito al destino dei mufloni ma anche alla salute dell’ambiente in generale. Nel 2016 Vigorelli ha denunciato Forestale e Parco per aver consentito la trasformazione dell’isola in un immondezzaio. Nel 2018 si è fatto carico di raccontare sui social la morte del Re dei Mufloni:

“Era il maschio dominante, un esemplare bellissimo e regale. Quando riuscivi a scorgerlo, restavi ammirato e senza parole. Si capiva subito che era il Capo. Lo hanno trovato morto – di fame – qualche giorno fa a Zannone. No, miei cari… Non è stata la Forestale a trovare la carcassa. Non sono stati i dirigenti o gli impiegati del Parco del Circeo. Loro, da anni, a Zannone non mettono più piede, non curano più i sentieri, non portano cibo e acqua ai mufloni, hanno chiuso gli uffici del Parco, se ne stano in panciolle altrove. A scoprire la carcassa non sono stati neppure quelli della nuova amministrazione di Ponza, che con il Parco intrallazzano alla grande, con aria sottomessa e complice. 

Sono stati invece dei cittadini di Ponza, che amano Zannone e la sentono propria. Loro sanno bene che dal 1979 l’isola è finita nella fauci di un Parco che, da allora, nulla ha fatto per valorizzare l’isola, per renderla accogliente per un turismo intelligente, per arricchire l’offerta turistica di Ponza e creare posti di lavoro. Il sindaco Ferraiuolo, nel 1980, è stato il firmatario della prima Convenzione di s-vendita di Zannone al Parco. E non a caso – oggi – è a suo modo coerente nel non volere che Ponza esca dal Parco e Zannone ritorni ai ponzesi. In questi quasi 40 anni, a Zannone il Parco del Circeo ha lasciato che tutto si rovinasse e marcisse, dalle bellezze naturali alla colonia dei mufloni e alla Villa di proprietà comunale ormai a pezzi.”

Le difficoltà di gestione di un’area non presidiata

Il problema fondamentale dell’isola è la mancanza, da alcuni anni, di un presidio fisso da parte dei Forestali, con conseguente difficoltà nella gestione dell’area protetta, a distanza. Il Ministero dell’Ambiente, a seguito delle denuncia del 2016 di Vigorelli per reati ambientali a carico dei vertici dell’allora Corpo forestale dello Stato e del presidente del Parco Nazionale del Circeo, è intervenuto convocando un tavolo congiunto per fare il punto della situazione. L’impegno da parte del Parco per migliorare la situazione non è mancato.

Nel gennaio 2020 l’Ente si è in particolare fatto carico di affrontare le problematiche legate alla presenza dei mufloni sull’isola, richiedendo e ottenendo un parere tecnico-scientifico. Sull’isola è anche stato avviato il progetto life PonDerat, coordinato dalla Regione Lazio in partnership con ISPRA, Università degli Studi “La Sapienza”, Nemo Srl e Area Marina Protetta Riserva Naturale Statale Isole di Ventotene e S. Stefano, con la finalità di migliorare lo stato di conservazione di specie e habitat delle Isole Ponziane.

Per Zannone, in particolare, il progetto prevede la realizzazione di un recinto di esclusione in una piccola porzione di lecceta al fine di impedire (e avere un’area di confronto a riguardo) l’accesso dei mufloni e quindi limitare gli impatti creati dal pascolamento alla foresta di leccio, una delle più importanti ed estese tra quelle rimaste sulle isole italiane. Una iniziativa che aveva portato all’accusa di voler confinare gli animali. Accusa cui il Parco ha tenuto a rispondere, chiarendo che non si tratterà di un confinamento degli animali in un recinto, piuttosto di un intervento di conservazione attiva della lecceta.

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