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I lupi possono modificare i fiumi?

Il ritorno dei lupi in un’area da cui era la specie in precedenza scomparsa è da considerarsi un bene o un male? Una domanda che si presta a infinite discussioni, che oggi sfruttiamo per introdurvi al racconto di una polemica scientifica sorta attorno alla reintroduzione del lupo all’interno di un Parco.

In Italia nessuna reintroduzione

Premessa doverosa da fare: la storia che stiamo per raccontarvi non riguarda i Parchi italiani, per i quali di fatto non si può parlare di “reintroduzione” del lupo.

La specie, oggi inserita nell’allegato D della direttiva Habitat come “prioritaria, di interesse comunitario che richiede una protezione rigorosa”, era presente su gran parte del nostro territorio fino a circa due secoli fa. Tra il XIX e il XX subì un drastico calo, soprattutto a causa della caccia. Una persecuzione resa più spietata dall’utilizzo delle armi da fuoco. Fu così che scomparve totalmente dalle Alpi, dalla Sicilia e da gran parte dell’Appennino, con un minimo storico attorno agli anni Settanta.

“Nessun lupo è stato mai catturato per essere poi spostato e liberato a scopo di ripopolamento – chiariscono gli esperti del progetto Life WolfAlps Eu – . L’espansione del lupo in Italia negli ultimi 40 anni è frutto solo ed esclusivamente di dinamiche naturali della specie.”

Andiamo a Yellowstone…

Chiusa tale parentesi, spostiamoci in America, terra in cui è nata la polemica che andremo a breve ad affrontare. Nel 2014 è divenuto virale sul web un video riguardante il Parco di Yellowstone dal titolo “How wolves change rivers” (Come i lupi cambiano i fiumi). All’interno dell’area protetta americana il lupo mancava dal 1926, ed è stato reintrodotto nel 1995, mediante trasferimento di 14 esemplari canadesi. In tale video viene descritto, come diretta conseguenza del ritorno del lupo, un processo di modifica dell’ecosistema fluviale preesistente nel Parco. Vi riportiamo di seguito la traduzione della narrazione originale, ad opera di George Monbiot.

“Una delle più interessanti scoperte scientifiche dell’ultimo mezzo secolo è stata la scoperta di diffuse cascate trofiche. La cascata trofica è un processo ecologico che inizia al vertice della catena alimentare e si snoda fino alla base. Un classico esempio è fornito da quanto si verificò nel Parco Nazionale di Yellowstone, negli Stati Uniti, quando nel 1995 furono reintrodotti i lupi. Sappiamo tutti che i lupi uccidono diverse specie di animali, ma probabilmente siamo un po’ meno consapevoli del fatto che essi diano la vita a molte altre. Prima che i lupi tornassero – erano stati assenti per 70 anni – il numero di cervi è costantemente cresciuto nel Parco di Yellowstone, perché non c’era nessuno a dar loro la caccia. Nonostante gli sforzi dell’uomo di controllarne la diffusione, per ridurre l’impatto sulla vegetazione, non si era ottenuto quasi nulla. Ma non appena sono arrivati i lupi, anche se in piccolo numero, si sono iniziati a verificare effetti notevoli.

In primo luogo, come è naturale, hanno iniziato a uccidere i cervi. Ma questa non è la cosa più importante. Molto più significativo è il cambiamento radicale che ha assunto il cervo in termini comportamentali. La specie ha iniziato a evitare alcune parti del parco – i luoghi dove rischiare di essere intrappolati più facilmente – in particolare le valli e le gole, e immediatamente quei luoghi hanno iniziato a rigenerarsi. In alcune zone, l’altezza degli alberi quintuplicò in soli sei anni. I nudi versanti della valle diventarono rapidamente foreste di tremolo, salice e pioppo . E non appena ciò accadde, gli uccelli iniziarono a spostarsi.

Il numero di uccelli canori e migratori iniziò ad aumentare notevolmente. Il numero di castori iniziò ad aumentare, perché ai castori piace mangiare gli alberi. E i castori, come i lupi, sono ingegneri dell’ecosistema. Creano nicchie per altre specie. Le dighe costruite nei fiumi hanno generato habitat per lontre, topi muschiati, anatre, pesci, rettili ed anfibi.

I lupi hanno iniziato a uccidere anche i coyote e, di conseguenza, il numero di lepri e topi è salito. Il che ha comportato un aumento di falchi, donnole, volpi, tassi. Corvi ed aquile hanno scelto di nutrirsi delle carogne lasciate dai lupi. Anche gli orsi hanno cominciato a nutrirsene. E la loro popolazione ha iniziato a salire, in parte anche perché c’erano più bacche, cresciute sui cespugli rinati. E gli orsi hanno amplificato l’impatto dei lupi uccidendo piccoli di cervo.

E qui la cosa si fa veramente interessante. I lupi hanno anche modificato l’andamento dei fiumi. Minor serpeggiamento, minore erosione, canali più stretti. Si sono formate più pozze, più sezioni con rapide. Generando habitat ottimali per la fauna selvatica. I fiumi sono cambiati in risposta ai lupi. E la ragione sta nella rigenerazione delle foreste che hanno stabilizzato le sponde. Così i fiumi sono diventati più stabili nel loro corso.

Costringendo il cervo ad evitare alcuni luoghi, la vegetazione ha recuperato anche i versanti delle valli, riducendo l’erosione del suolo. Così i lupi, pur se in numeri bassi, hanno trasformato non solo l’ecosistema del Parco Nazionale di Yellowstone, questo enorme territorio, ma anche la sua geografia fisica.”

Scatta la polemica

Nel mondo della scienza si sono levate parecchie voci contrarie a tale “racconto”. La storia di Yellowstone è stata definita da diversi biologi ed ecologisti americani romantica ma assolutamente falsa. Due esperti che in particolare hanno tenuto a prendere posizione contro il video incriminato sono stati gli ecologi Tom Hobbs della Colorado State University e Dan McNulty della Utah State University.

Hobbs, autore di molteplici articoli scientifici sui popolamenti salici di Yellowstone, ha affermato che la reintroduzione del lupo nel 1995 abbia avuto ben poco impatto su tale specie vegetale ripariale, la cui distribuzione è regolata essenzialmente dalla disponibilità di acqua. “Ai salici piace avere i piedi bagnati”.

Secondo Dan McNulty la cascata trofica descritta nel video è “un perfetto cartone animato”, ma ben distante dalla realtà. Accanto al lupo esistono infatti a Yellowstone molti altri grandi predatori, che andrebbero presi in considerazione. Banalmente orsi, leoni di montagna e coyote. Tutti amano come prede i cervi. Dunque i lupi rappresentano in tal senso una piccola percentuale dei predatori complessivi degli ungulati.

Ulteriore elemento da considerare è che i cervi non si cibino essenzialmente di salici, ma al 90% di erba.

Ancora, a detta di McNulty, come maggior responsabile della caduta del numero di cervi bisognerebbe riconoscere l’uomo e non il lupo. Il cervo di Yellowstone, migrando verso il Montana, arriva in zone dove la sua caccia è legale. Ed ecco che migliaia di esemplari vengono uccisi, comportando un decremento della popolazione nel Parco. Accanto alla caccia, altro fattore che impatta sul benessere della popolazione è rappresentato dalle stagioni siccitose, appunto perché viene meno l’erba di cui si cibano.

Necessari chiarimenti

La cascata trofica di cui si parla nel video è stata oggetto di una pubblicazione scientifica a firma di Robert Beschta e William Ripple, della Oregon State University, dal titoloTrophic cascades in Yellowstone: The first 15 years after wolf reintroduction” (2012).

A seguito delle polemiche di cui sopra, i due ricercatori hanno sottomesso un nuovo paper nel 2019, stavolta non citando il lupo nel titolo, ma più in generale i “grandi carnivori” (“Can large carnivores change streams via a trophic cascade?”). Un articolo che cerca di dirimere le controversie.

Dopo aver analizzato nel 2004 e poi nel 2017 la distribuzione dei salici cresciuti su alcune sponde fluviali a Yellowstone, i ricercatori della Oregon State University hanno potuto affermare che “il ritorno dei grandi carnivori” abbia avuto un influenza positiva sulla struttura e funzione del fiume.

Negli anni Novanta viene riportato che i cervi, cibandosi dei salici lungo le sponde dei fiumi, ne impedissero un ampio accrescimento. L’altezza media risultava essere mezzo metro. Tale dinamica avrebbe consentito ai corsi d’acqua di espandersi. Nel 2017 l’altezza dei salici è risultata invece essere superiore a 2 metri in media, con ampia chioma a copertura dei corsi d’acqua, ridottisi in dimensioni.

Gli scienziati hanno tenuto a sottolineare che tale dinamica abbia subito una accelerazione dopo l’arrivo dei lupi. La sintesi, decisamente più convincente, è stavolta la seguente: la reintroduzione dei lupi, che sono andati ad aggiungersi come predatori ad altre specie di grandi carnivori già presenti nell’area, ha consentito una riduzione del numero di erbivori circolanti nelle zone ripariali, tale da avviare un processo di recupero da parte delle comunità vegetali che ne popolano le sponde.

Non è detto che tale nuova conclusione segni anche la fine della diatriba. Per certo l’insegnamento che è bene cogliere da questa storia è che all’interno di un ecosistema tutte le componenti siano in relazione tra loro, dunque attribuire al lupo, o qualsiasi altra specie animale, un effetto macroscopico e rapido come l’alterazione fisica di un alveo fluviale e della vegetazione delle sue sponde è un grosso azzardo.

Riprendendo le incisive parole di Hobbs: “Siamo di fronte al classico esempio in cui ripetere una cosa con grande entusiasmo la rende reale, indipendentemente da cosa dice la scienza”.

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