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Climber chioda tre vie e danneggia antiche incisioni rupestri nello Utah

Sta destando scalpore la vicenda di un climber statunitense accusato di aver danneggiato antichi petroglifi risalenti alla civiltà precolombiana dei Fremont, chiodando una via nell’area della Sunshine Wall, poco a Nord dell’Arches National Park nello Utah. A scoprire il danneggiamento un secondo climber, Darrin Reay, recatosi nelle scorse settimane alla Sunshine Wall. Il racconto della scoperta dei chiodi, rimossi prontamente da Reay, è stato diffuso sui social dall’amico Stewart M. Green, scrittore e storico di Colorado Springs, considerato una sorta di autorità nel campo dell’arrampicata americana.

Il racconto di Green

“Il mio amico Darrin Reay mi ha chiamato nel pomeriggio mentre tornava a Grand Junction dopo una settimana nella zona di Moab. Darrin aveva notizie decisamente allarmarti da fornirmi. Mentre era impegnato a esplorare e arrampicare nei dintorni delle Sunshine Slabs, poco a Nord dell’Arches National Park, ha trovato 3 nuove vie chiodate su 70 piedi (circa 21 m) di parete sopra l’area del campeggio, che attraversavano un favoloso tratto di petroglifi in stile Fremont. I chiodi erano piantati accanto ai petroglifi. Cosa che è ovviamente illegale.

Darrin ha dato uno sguardo alle Sunshine Slabs sul portale Mountain Project e ha scoperto che queste vie fossero state chiodate da alcuni climber di Colorado Springs a fine marzo. La cosa peggiore, una via ribattezzata “Peaches”, gradata 5.3. Cavolo, è patetico chiodare illegalmente un 5.3! (3c sistema britannico. Ndr)

Darrin, in parte nativo americano, mi ha detto ‘ho tolto tutti i chiodi. Ho pensato di lasciarli lì per poter segnalare con sicurezza il misfatto. Ma semplicemente non potevo lasciarli lì, per questioni religiose. Era un mio dovere‘. Successivamente mi ha detto, ‘ho ancora delle foto della prima volta che sono stato lì 14 anni fa a vedere quel pannello di petroglifi. Non l’avrei mai notato se tu non mi avessi invitato a darci uno sguardo”.

Darren ha nel frattempo avvisato le autorità di Moab per fare una denuncia formale e fornire le foto a testimonianza del misfatto.

“In qualità di climber dobbiamo essere coscienti del fatto che sia illegale arrampicare su o nei pressi di risorse culturali come reperti artistici su roccia e siti archeologici, come stabilito dall’Archaeological Resources Protection Act e della sezione 106 del National Historic Preservation Act del 1966 – aggiunge Green – . Tali leggi sono finalizzate alla gestione e alla protezione delle risorse culturali, inclusi siti storici e preistorici. Vie di arrampicata sono state rimosse e aree e pareti interdette in zone quali Indian Creek Canyon, Wall Street, Red Rocks National Conservation Area, proprio perché vi si trovano dei siti artistici. Sfortunatamente pare che molti nuovi climber non abbiano compreso che le loro azioni negative possano avere profonde conseguenze sulla libertà di arrampicata del futuro.

Risulta essenziale ricordare che è un privilegio arrampicare nelle nostre differenti e meravigliose aree, lungo tutti gli USA. Il fatto è che come climber non possiamo più fare tutto quello che ci pare, al contrario dei tempi del Wild West, quando ero un giovane climber. Le agenzie che gestiscono le varie aree hanno la responsabilità non solo di fornire opportunità ricreative, come l’arrampicata, il trekking e la mountain bike, ma anche la grande responsabilità di preservare e proteggere la natura, gli habitat unici, gli ambienti, i reperti culturali e i siti archeologici. 

Piazzare chiodi e arrampicare in siti artistici è semplicemente inaccettabile. Il chiodatore illegale ha scritto su Mountain Project che quelle opere fossero graffiti e che un antropologo dovrebbe andare a darci uno sguardo. Ha anche aggiunto che il petroglifo di un cerchio con una figura antropomorfa che regge un arco sembrasse una H, un simbolo che a suo avviso non era utilizzato dai nativi americani. Ovvio, quei petroglifi realizzati dalle antiche popolazioni di Fremont stanno lì da migliaia di anni. Ho visto per la prima volta quel pannello mentre facevo escursionismo attorno alle pareti verso la fine degli anni Settanta. 

Faccio i miei applausi a Darren per aver rimosso quei chiodi oltraggiosi. Spero che si possa andare nei prossimi mesi a riparare il danno riempiendo i buchi lasciati.”

Non è un evento raro

Uno sfogo dai toni duri, cui fa eco la voce di Elizabeth Hora, archeologa per lo Utah State Historic Preservation Office. “I danni resteranno lì per sempre”, evidenzia l’esperta alla redazione del Gazzette. E ciò che stupisce è che non si tratti di un evento unico e raro. “Si tratta di eventi incredibilmente comuni nel nostro stato. Nel 2020 abbiamo assistito a una vera esplosione”. 

L’antica civiltà dei Fremont, che prende il nome dall’esploratore John C. Frémont, era una civiltà pre-colombiana che abitava l’attuale area dello Utah e aree circostanti tra 2.000 e 700 anni fa. I petroglifi, spesso con forme geometriche e umane, sono i loro resti maggiormente visibili e si ritrovano in tutto lo Utah.

La versione di Gilbert

Il climber incriminato, Richard Gilbert, ha ammesso di aver chiodato le vie convinto che non si trattasse di petroglifi ma di graffiti, data la vicinanza del camping. E che il suo intento fosse di agevolare la salita per climber disabili.

Dopo aver ricevuto anche minacce di morte, Gilbert ha riportato l’incidente al Moab Bureau of Land Management. Secondo l’Archeological Resources Protection Act, potrebbe rischiare fino a 20.000 dollari di multa e un anno di reclusione. Le indagini sono attualmente in corso.

“Ho sbagliato. Non avrebbe dovuto accadere – ha dichiarato a Outside Magazine – .La mia colpa è l’ignoranza e me ne assumo piena responsabilità”.

Ignoranza e pandemia

I danni ai siti archeologici dello Utah, come sottolineato dalla archeologa Hora, sono aumentati soprattutto a seguito della pandemia del Covid-19. Complice il maggior numero di neofiti dell’outdooor, che spesso non conoscono la storia delle località in cui vanno a svolgere attività. Rientra nel computo di “vicende archeologiche opinabili” l’apparizione e scomparsa del monolite dal deserto dello Utah lo scorso anno. Per arginare il problema, lo stato ha di recente lanciato una iniziativa dal titolo “Stop al vandalismo archeologico”, volta a educare il pubblico sulla rilevanza dei siti storici.

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6 Commenti

  1. Che chiamino i restauratori dell’Opificio pietre dure di Firenze , pagati profumatamente, che molto probabilmente una pezza la sapranno mettere:

    1. Caro Albert non si tratta di mettere una pezza….. ( quel “pagati profumatamente “sa di offensivo per restauratori fiorentini eccellenza nel mondo ! ).
      Ormai anche nel mondo dell’arrampicata gli idioti non mancano….fortunatamente pochi…
      Massimo Faletti e Matteo della Bordella , naturalmente altri livelli ed intelligenza, sono i nostri esempi da imitare. ( vedi clean in varie falesie in Italia ).

    1. Uno yankee é capace di tutto, anche dell’ impossibile e sono talmente istruiti che non sanno distinguere dei graffiti rupestri dai colori naturali della roccia. Gli yankee sono l’unico popolo che é passato dalla barbarie alla decadenza senza passare per la ragione.
      Cordialmente

  2. Come quello che ha appeso un frigorifero (o era un compressore?)
    e c’è ancora, purtroppo.
    Forse un veneratore della natura lo farà sparire

  3. Non e’ per offendere i restauratori, ma siccome la’ tutto e’ pesato a denaro, se volessero l’eccellenza la dovrebbero ben ricompensare..oltre ogni standard.Tolti chiodi e rimasti i fori, saprebbero ben loro come mimetizzare ( non eliminare) lo scempio, anzi solo loro.
    Meglio , a spese del climber incriminato, Richard Gilbert, che ha ammesso di aver chiodato le vie convinto che non si trattasse di petroglifi ma di graffiti.
    Sembra delle foto che ci sia andato vicino, non proprio sopra .
    E’gia’ accaduto che il personale addetto alle pulizie di un salone mostra di arte moderna, abbiano eliminato come rifuto ingombrante avanzo di imballaggio alcune opere in cartone ondulato.
    Le minacce di morte comunque sono esse stesse reato di maggior gravita’.

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