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Il respiro della montagna, un fotografo sulle montagne senza impianti

In un anno senza piste da sci possiamo riscoprire una montagna diversa, è quello che ci racconta il fotografo toscano Francesco Pierini attraverso il progetto, realizzato in collaborazione con Peakshunter Mountain Guides, dal titolo evocativo “Il respiro della montagna”.

Durante questa ultima stagione invernale sci da alpinismo e ciaspole sono andati a ruba, è successo in tutta Italia. Pierini, giovane 23enne, insiste proprio su quanto accaduto quest’anno per chiedersi: è possibile valorizzare territori montani, la cui economia è basata sul turismo di massa, con una nuova forma di turismo più sostenibile? Per darsi una risposta parte, insieme ai ragazzi di Peakshunter Mountain Guides e raggiunge le montagne con sci e pelli. Sceglie di andare in centro Italia, sul Gran Sasso, per documentare “come oggi l’ambiente montano stia tornando a essere un ‘rifugio liberatorio’ e non più un’affollata meta del turismo di massa. Come conseguenza alle restrizioni sanitarie si sta assistendo a una rivalutazione delle attività gradualmente abbandonate dopo il boom degli impianti di risalita. Oggi, discipline come lo sci alpinismo o lo sci escursionismo rinnovano il loro significato originario, restituendo una ritrovata dimensione del vivere gli spazi della montagna che richiede maggiore rispetto per tempi e prerogative che tali spazi pretendono di diritto nell’offerta di ampi margini di benessere e inestimabili occasioni di divertimento”.

Francesco, l’hai sentito il respiro della montagna?

“Quando ti muovi in montagna senza usufruire di nessuna infrastruttura artificiale, senza usare mezzi a motore, senza avere un reale impatto sull’ambiente, in un qualche modo lo senti. Per questo abbiamo deciso di raccontare una montagna vissuta a passo d’uomo, nel rispetto dei tempi naturali, raggiungendo le cime con le nostre forze e potendo così godere dei luoghi e dei momenti.”

Sei giovane, hai 23 anni, che significato dai alla montagna?

“Per me la montagna è come un rifugio liberatorio. Un luogo dove puoi trovare te stesso, dove cercarti, dove vivere nuove esperienze. La montagna è quel territorio dove potersi disconnettere dal mondo, dove uscire fuori dal quotidiano, dalla propria zona di comfort. La montagna ti regala delle emozioni che nella bolla della società non potresti provare.”

E allo scialpinismo?

“Direi un mezzo per raggiungere un luogo liberatorio, l’attività che meglio interpreta i bisogni dell’alpinista moderno.

Penso che la montagna si possa vivere in tanti modi diversi, ma lo sci alpinismo è quell’attività che ti permette di raggiungere la cima con la consapevolezza di aver fatto una fatica immensa per poi gustarti la discesa. Sci alpinismo non significa solo prendere un sentiero e seguirlo, ti offre l’opportunità di interpretare liberamente salita e discesa. Io lo paragono alla vita, puoi fare delle deviazioni al percorso obbligato. Fare una strada diversa per tornare a casa alle volte è stimolante, ti fa crescere. Impari ad affrontare determinate paure che prima non avresti saputo gestire.”

Come mai avete scelto di ambientare il vostro progetto sul Gran Sasso e non, a esempio, in Dolomiti?

“Ci siamo mossi tra il Gran Sasso, i Prati di Tivo e Campo Imperatore. Abbiamo scelto questo territorio perché il Gran Sasso è una delle montagne più aspre e meno conosciute del nostro Paese. Volevo documentare lo sci alpinismo in un luogo dove impianti e turismo di massa non sono così evidenti. Le Dolomiti sono ricche di impianti, poi c’è un’alta grande differenza. Quando vai in Dolomiti ti abitui gradualmente all’ambiente mentre qui in Abruzzo passi dalla realtà della pianura a quello della montagna in uno schiocco di dita.”

Cosa avete osservato in questo strano anno dagli impianti chiusi?

“Il primo impatto è stato forte. L’obiettivo di tutto il progetto è proprio quello di mostrare come nonostante gli impianti chiusi sia possibile vivere ugualmente la montagna.

Passare sotto agli impianti chiusi, risalire le piste con le pelli, è stato molto impattante e ci ha fatto riflettere sulle opportunità di questo sport. In un anno normale basterebbe lasciare una piccola corsia laterale per consentire al risalita agli sci alpinisti, ma questa è solo una delle tante idee possibili. Diciamo che questa stagione ci ha offerto la possibilità di vedere un futuro diverso guidato da un turismo più sostenibile.”

Immaginare economicamente un futuro senza impianti non è facilissimo…

“Qualcosa si sta muovendo in questa direzione. Lo dimostra il fatto che in Valle d’Aosta si stanno dedicando comprensori e piste allo sci alpinismo. Stanno offrendo la possibilità a ciaspolatori e sci alpinisti di avvicinarsi a questo mondo grazie a comprensori dove muoversi in totale sicurezza. I valdostani hanno visto lungo sotto questo punto di vista, soprattutto in un anno del genere.”

Secondo te cosa bisognerebbe fare per segnare veramente un cambio di passo?

“Ampliare l’offerta per gli sci alpinisti. Non subito, ma iniziare a muoversi in questa direzione offrendo sempre più spazio all’attività. Questo penso sia fondamentale soprattutto in Appennino, dov’è sempre pi+ difficile immaginare lo sci in pista. Bisogna poi anche fare un lavoro di tipo culturale, perché si capisca che lo sci alpinismo non è una minaccia per gli impianti, ma un’opportunità per convivere offrendo tra l’altro un utile strumento per avvicinarmi alla disciplina in sicurezza.”

Ci stai parlando solo di sci alpinismo o più in generale di turismo responsabile?

“Il mio non vuole essere un progetto finito con lo sci alpinismo. È una filosofia che va perseguita anche in estate. Sogno una montagna vissuta con uno spirito che vada a rivalutare il territorio, che riprenda in considerazione quei sentieri un po’ dimenticati che partono dal centro paese.”

Ancora una domanda, molto pratica e diretta: come trasformare questo approccio responsabile in un’opportunità economica?

“In conseguenza della maggiore appetibilità della montagna nell’era post-Covid anche il turismo montano dovrà scegliere quale immagine veicolare e se investire o no in servizi più strutturati, riconvertendo le strutture esistenti per renderle funzionali alle nuove esigenze. Di fatto le comunità dovranno valutare se innescare un processo virtuoso in grado di generare più valore aggiunto per il territorio e garantire maggiore qualità per l’ambiente e l’intero ecosistema. Questo investendo anche nelle attività di piccola e media impresa, accrescendo il numero di persone che in montagna desiderano trascorrere periodi più lunghi e possibilmente anche lavorare, nelle nuove forme dello smartworking a distanza. Creando imprese non solo turistiche, ma anche nuovo know-how, nella consapevolezza che il futuro è nella qualità e nella sostenibilità.”

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Un commento

  1. Visionando zona Dolomitica con webcam, noto che con gli attrezzi iper leggeri ,la maggioranza sale e scende su piste battute in vana speranza di ripresa pasquale, ma precluse dai decreti allo sci sola discesa industrializzato. Hanno sempre la linea dei cavi della cabinovia che funge da direttrice.Il massimo e’ , arrivati alla stazione funiviaria sommitale, irta di antenne, sostare a prendere il sole sul comodo tavolato rialzato , in teoria proprieta’ di bar e ristorante chiusi. E’ vero ski alp o una forma ibrida con sforzo in salita e rischio didiscesa diminuiti dalla neve battuta meccanicamente e ricerca di massima comodita’ ? Attorno ci sono plateau ghiacciati e canaloni difficili con parziale copertura di valanghe primaverili adatti a vero sci alpinismo , ma praticati da molto pochi che hanno grinta e fisico e tecnica. Forse c’e una differenza non solo terminologica ma sostanziale tra skialp e sci alpinismo?

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