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Daniela Berta, capocordata al Museo Montagna di Torino

Da aprile 2018 riveste il ruolo di direttrice del Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” di Torino. Struttura museale dal prestigio internazionale, vede per la prima volta in oltre cento anni di storia la reggenza di una donna, Daniela Berta. Laureata in Beni Culturali con indirizzo museologico; curatrice di allestimenti, mostre e progettista di sistemi culturali territoriali; dal 2013 al 2015 dirige il Museo Civico “Arnaldo Tazzetti” di Usseglio, poi il Museo Diffuso di Arte Sacra della Valle di Viù. Il suo approdo al Monte dei Cappuccini porta fin da subito una ventata di freschezza allargando lo sguardo sul tema montagna, affrontandolo a volte in modo trasversale e ricercando un connubio tra storia e contemporaneità. Dal suo punto di osservazione privilegiato, sulle Alpi e su Torino, il Museo Montagna oggi parla a tutti, appassionati e non, con l’ambizione di arricchire il proprio bagaglio culturale di nuove collaborazioni provenienti da mondi differenti. È infatti l’interdisciplinarietà, ci racconta Daniela, l’indirizzo della sua direzione.

Viste le recenti polemiche sul palco dell’Ariston, direttore o direttrice?

“Per me è indifferente, ma sono abituata a usare il termine direttore. Non è questo che fa la differenza, è su altri campi che si giocano le parità.”

Veniamo alla prima domanda. Cosa significa essere direttore di uno dei musei di montagna più prestigiosi al mondo?

“Sicuramente è una grande responsabilità perché il museo custodisce un enorme patrimonio. Uno dei principali al mondo per quanto riguarda documentazione e memoria della cultura delle montagne: non solo delle Alpi, ma del mondo intero. Un archivio che cerchiamo di rappresentare, valorizzare, conservare e rendere fruibile al pubblico. In questo periodo, causa Covid-19, stiamo effettuando questa operazione con nuovi strumenti digitali, anche se rimango convinta dell’importanza assoluta rivestita dal dato materiale al di là delle nuove modalità di fruizione online. Il contatto diretto non può prescindere dalla frequentazione fisica dei luoghi e dall’esperienza dal vivo. Il museo rappresenta un centro di aggregazione dove si fa studio e ricerca, dove potersi confrontare con la comunità scientifica, con professionisti, traendone nuovi stimoli.”

Valorizzazione storica e culturale con un occhio alla contemporaneità…

“Una delle direttrici più importanti che mi sono data, da tre anni a questa parte, guarda alla valorizzazione delle nostre collezioni affiancandole a uno sguardo contemporaneo sulla montagna. Un’occasione per approfondire e riflettere su un mondo cha sta vivendo un grande cambiamento. Ci piace farlo, come concretizzato negli ultimi anni, attraverso collaborazioni e nuove connessioni con altri enti e istituzioni che non si occupano direttamente di montagna. Una strategia utile a cogliere lo sguardo di chi è esterno a questo mondo, ma anche per accogliere nuovi frequentatori al museo.”

Oggi non sono molte le donne a ricoprire un ruolo di direzione nel mondo della montagna. Cosa ne pensi?

“Nel mondo della montagna riconosco di essere un caso raro, ma nel mondo museale è molto comune la presenza di donne in ruoli apicali. Sicuramente può essere difficile per una donna riuscire a vedere riconosciuta la propria leadership, anche quando costruita su competenze, dedizione, capacità di veicolare all’esterno una visione condivisa con la governance e con il gruppo di lavoro.” 

Come hai trasformato il museo dal tuo arrivo e cosa speri per il suo futuro?

“In tre anni abbiamo provato a porre il fuoco sui punti deboli e sulle potenzialità per far sì che il museo diventi una struttura vivace e dinamica, aperta e permeabile. Nel futuro, che ci sia io o qualcun altro, spero che il museo coltivi questa nuova impronta, che sia un luogo vivo, che diventi un punto di riferimento per la cultura di montagna intesa con un’accezione più vicina al concetto di ‘cultura per la montagna’.”

Donna, giovane, intraprendente e competente… Vantaggi o svantaggi?

“È improbabile che io mi appelli all’essere donna quando ci sono difficoltà da affrontare. Spesso dietro alle questioni di genere si nascondono problemi più grandi. È vero che spesso si sottostimano le persone giovani e le donne. Ritengo però che il discorso più ampio che guarda al riconoscimento e al rispetto delle persone, che è un fatto culturale e quindi dev’essere esercitato quotidianamente e non solo in una data simbolica, come l’8 marzo nel caso della questione femminile.”

Cosa diresti a chi, più giovane, ambisce a seguire un percorso come il tuo?

“Sicuramente che bisogna faticare molto, sviluppare competenze partendo da un interesse che deve essere naturale ma da coltivare perché la passione non basta mai. Che bisogna imparare a dire no rimanendo a testa alta, anche di fronte alle difficoltà che potrebbero scoraggiarti. Soprattutto direi che i risultati non arrivano subito, serve pazienza. Ho
l’impressione che oggigiorno venga spesso veicolato il messaggio che sia semplice raggiungere un obiettivo in poche mosse. Nella realtà risultati solidi devono avere solide fondamenta, e queste non si costruiscono correndo.”

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