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L’ansia da lockdown può farci rischiare troppo in montagna?

Intervista con lo psicologo Giulio Scoppola

La tragedia della Val Majelama, dove quattro escursionisti sono stati uccisi da una colossale valanga, interessa poco ai media nazionali, concentrati sulla crisi di Governo e sul Covid. Il dramma, però, emoziona la città di Avezzano e migliaia di appassionati di montagna. Quel che è accaduto, almeno a grandi linee, è chiaro. Tonino Durante, Gianmarco Degni, Valeria Mella e Gianmauro Frabotta, per la loro camminata (avevano le piccozze e i ramponi, non le ciaspole o gli sci), si sono addentrati in una valle chiusa da pendii molto ripidi, carichi di neve instabile e sovrastati da grandi cornici. E’ possibile, ma non lo sapremo mai con certezza, che a spingerli in Val Majelama sia stato il forte vento che soffiava domenica 24 gennaio. E che, all’interno del solco, era certamente meno molesto che non sui vicini pendii del Pizzo Cafornia e del Velino.    

A tormentare gli appassionati di montagna è anche un dubbio legato al lockdown e alle norme delle zone gialle, arancione e rosse. Per migliaia di escursionisti e scialpinisti, da mesi, l’impossibilità di frequentare liberamente la montagna è un’esperienza dolorosa. E’ possibile che questa sofferenza spinga qualcuno ad accettare dei rischi eccessivi? Cerchiamo di capirlo con Giulio Scoppola, psicologo della ASL Roma 1, ex-istruttore di alpinismo del CAI, tra i soci fondatori della SIMONT, la Società Italiana di Montagna Terapia. 

Oltre alla tragedia della Val Majelama, altri incidenti delle ultime settimane sembrano essere stati causati da una “voglia di andare” eccessiva. E’ possibile che l’ansia causata dai divieti abbia fatto accantonare o ridurre la prudenza?

“Sì, non ci sono dubbi. I limiti imposti alla mobilità e alle relazioni interpersonali provocano delle crisi di ansia. In molte persone questo può provocare dei comportamenti pericolosi per la propria incolumità fisica. Anche le risse tra adolescenti derivano da questo fenomeno”.   

C’è una spiegazione scientifica? 

“Noi viviamo attraverso i cinque sensi. Abbiamo bisogno di vedere dal vivo, toccare, sentire le parole e gli odori. La pandemia ci costringe a distanziarci, a vederci solo attraverso uno schermo, a evitare il contatto fisico. Il Coronavirus, che non si vede, non si sente, non è percepibile al tatto, al gusto e all’odorato, mette in scacco i nostri cinque sensi”.

Come psicologo lei si accorge di questo fenomeno?

“Sì. Nel mio lavoro di psicologo e psicoterapeuta, ma anche parlando con i frequentatori della montagna, ho notato più volte le tracce di un’alterazione dell’equilibrio. Quello che di solito ci garantisce una giusta distanza dall’oggetto delle nostre passioni”.

L’alterazione di questo equilibrio può spingere a rischiare troppo? 

“Purtroppo sì. Alcuni individui, predisposti alla ricerca di sensazioni intense, possono accettare dei comportamenti in cui il rischio viene inconsciamente accettato come compensazione per l’intollerabile distanziamento dalle esperienze fisiche e sensoriali. Il bisogno di andare al limite, di esporsi a cadute di sassi o slavine, può prevalere sulla prudenza”. 

In condizioni normali, cosa ci aiuta a evitare i rischi eccessivi?

“Abbiamo due presidi di sicurezza. Il primo è l’esperienza, che ci insegna a non esporci a rischi inutili, magari perché lo abbiamo già fatto in passato e ci è andata bene. Il secondo è la competenza, che possiamo maturare da soli oppure, in montagna, partecipando a un corso del CAI”. 

La disponibilità a esporsi a rischi eccessivi non è nata con il Covid-19.

“Nel 2007 lo psichiatra Giuseppe Saglio e la psicologa e alpinista Cinzia Zola hanno scritto per Priuli & Verlucca un saggio che s’intitola ‘In Su e In Sé. Alpinismo e Psicologia’. Il libro affronta l’intreccio formidabile tra l’andare in su, la spinta a salire in vetta, con tutte le difficoltà e i rischi connessi, e l’essere in sé come risultato di un percorso di consapevolezza. La verticalità fisica e quella psicologica”.

Il CAI e molti altri hanno chiesto al Governo di permettere le attività in montagna anche durante la pandemia, con tutte le precauzioni del caso. La risposta non è ancora chiara al 100%. Lei cosa pensa? 

“Se escursionisti, alpinisti e scialpinisti ritrovassero aperti gli spazi naturali dove praticare le loro attività, che hanno una forte componente spirituale, motivazionale e relazionale, sarebbero protetti dal rischio di scivolare verso l’ansia e la depressione”. 

L’ultima domanda riguarda i soccorritori, che in questi giorni in Val Majelama sono sottoposti a una pressione enorme.

“E’ vero. C’è la pressione dell’opinione pubblica e dei media, c’è un vero e proprio voyeurismo televisivo, lo stesso che abbiamo visto in maniera terribile a Rigopiano. I soccorritori sono esposti a uno stress acuto ed eroico, simile a quello che si vive da mesi nei reparti Covid degli ospedali”. 

Già in passato, i corpi di persone sepolte da neve e valanghe sono stati trovati molto più tardi. Mario Cambi, morto nel febbraio del 1929 sul Gran Sasso insieme a Paolo Emilio Cichetti, è stato ritrovato due mesi dopo. Quanto è importante ritrovare il corpo per accettare la morte di una persona cara? 

“E’ importantissimo. Per accettare quello che è accaduto abbiamo bisogno del corpo, abbiamo bisogno di una ritualizzazione. Pensiamo a quel che accade nei Pronto Soccorso, dove i parenti vengono spesso relegati in sale di attesa lontane. E invece hanno bisogno di stare vicini ai loro cari che soffrono. Magari dietro a una porta chiusa, ma vicini”.           

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12 Commenti

  1. COMPORTAMENTO AGGRESSIVO:VEDERE LE MONTAGNE CARICHE DI NEVE A PORTATA DI UN’ORA DI TEMPO E DI CIRCA 60 CHILOMETRI SCATENA TURPILOQUIO ED IMPRECAZIONI TRA LE 4 MURA.
    L’eccessiva voglia repressa puo’ causare incidenti anche in attivita’ tranquille, esempio partire su pista di sci fondo a manetta ed avere ..un mancamento, tachicardia, fame di ossigeno… e si spera non infarto.Pero’e’accaduto anche In questo periodo in sport di resistenza .
    Quanto all’incidente per scivolata..succede su pendioghiacciato pur muniti di piccozza e ramponi ma anche in giardino di parco piatto di montagna.Basta trovare uno strato di neve fresca caduta nottetempo, camminarci sopra per sentire il soffice scricchiolio e..trovare col fondo schiena che sotto c’e’occultata una lastra di ghiaccio vivo.

  2. Interessante e molto ampio, mi sembra accenni a molti aspetti della psiche di chi va in montagna.
    Da profano di psicologia, ma non di alpinismo aggiungo qualcosa.
    In questi ultimi decenni ho assistito a un continuo aumento della incapacità alla rinuncia perché non si è capaci di fare qualcosa…… incapacità di capire la propria incapacità: sembra ovvio.
    E ho notato questo in tantissimi casi.
    Il diritto di salire e di esaudire i propri desideri oggi non “deve” avere più limiti.
    Questo ha portato ad uno sviluppo e ad un uso dei mezzi tecnici con una totale fiducia in loro e senza più nessun riguardo etico.
    Per scalare si spitta, per sciare si paga l’elicottero, il rischio è coperto da strumentazione e soccorsi telefonici…
    Aggiungo anche che il sistema di istruzione sia tecnica che di sicurezza è diventato molto assillante, ma con obiettivi di tranquillità personale, sia per chi insegna sia per chi apprende.
    Io sono molto impressionato dai continui incidenti che leggo e comincio a pensare seriamente che siano dovuti alla profonda stupidità (si fa del male a se stessi e agli altri) nella quale viviamo sempre più senza renderci conto della nostra incapacità: chiediamo al telefonino tutto 🙂
    Quanta gente muore !
    Ma il business è il business e richiede di mettersi in mostra.

  3. E lo psicologo mi cade proprio sull’ultima domanda.

    Non può giustificare la necessità di vedere il corpo morto per superare la perdita del proprio caro citando come esempio la necessità di stare vicino ad una persona sofferente e quindi ancora viva.

    Dopo 6 giorni senza bere ne mangiare sommersi dalla neve nessun mammifero è in grado di sopravvivere, questo è un dato di fatto, razionale esattamente come la visione dei corpi morti.

    I parenti se ne facciano una ragione, per rispetto dei loro cari e dell’impresa che hanno tentato di compiere, per la quale hanno perso la morte, non dobbiamo richiedere un’altra impresa ai soccorsi o, meglio, una ridicola “caccia al cadavere” (facendo addirittura arrivare l’antenna Recco dalla Valle d’Aosta) giocata esattamente nello stesso luogo in cui 4 uomini, qualche giorno prima, stavano invece lottando per la loro vita; oppure, come piace pensare a me, stavano lottando per la loro imrpesa alpinistica purtroppo andata male.

  4. Articolo molto interessante.
    E’ molto probabile che vissuti insani (lockdown) producano comportamenti meno giudiziosi.
    E’ proprio una questione neurologica, meno si cammina o ci muove fisicamente, interagendo con l’ambiente, più velocemente si decade.
    Non è neanche una questione di alpinismo o scialpinismo, pensiamo agli anziani che non camminano più (“state a casa!”) magari prima, oltre ad una passeggiatina, andavano a fare ginnastica di gruppo od un corso di ballo, o quattro chiacchiere al bar.
    Con i colleghi notavamo che ci stiamo rimbecillendo. Perdiamo di vista le scadenze, facciamo fatica a focalizzare le questioni. La capacità di concentrazione è diventata quella del proverbiale pesce rosso.
    Io lo confesso, sto scivolando nella depressione. Roba leggera, solo i disturbi minimi (perdita di sonno, poca energia, concentrazione da pesce rosso). Eppure mangio bene, prendo le vitamine, faccio ginnastica. Ma l’unico sfogo che avevo dopo una settimana di letame lavorativo era uscire in giornata da Milano, per andare a fare una sgambata in montagna. Niente, durante il weekend si può solo vagare per la città, ci si scruta stile eternauta, con la mascherina che appanna gli occhiali. Dopo un po’ mi annoio e torno a pompare flessioni a casa, stile detenuto.
    Qualche amico si dà alla gita clandestina “ci rinchiuderanno ancora! approfittane che c’è crisi di Governo e non aizzano i droni, scappa con noi”. Ma non mi va di fare illeciti.
    Se arrivo vivo alla pensione me ne scappo in Patagonia o in Alaska, comunque dove non mi possano raggiungere i pizzardoni.
    Vabbè, magari basta la Barbagia o l’Aspromonte.

    1. Questa risposta la metterei in primo piano! Credo rispecchi al 100% quello che in tanti pensiamo. Aggiungerei comunque come effetto collaterale anche il concetto strisciante e penetrante di puntare alla sicurezza al 100% che a tanti ha ormai inculcato la paura di vivere.
      Temo che quando si comincerà a pensare seriamente a mitigare anche i danni mentali (pericolosi tanto quanto quelli fisici) sarà troppo tardi per molti. Si può anche morire restando biologicamente vivi…

  5. Esiste anche una possibilita inversa allo scatto felino audace verso attivita’ in ambiente montano innevato.’: abituati alle 4 mura, o ai confini di piccolo comune di pianura, poi ci si limita anche al variare di colore…con mille pretesti.Il cielo non e’limpido, le previsioni del tempo..le cronache di strade interrotte..il freddo..il foehn..aspettiamo il 15 febbraio..ci sono i mondiali di Cortina in diretta tv…ovvero la nobile arte di procrastinare…salvo poi pentirsi.

  6. Mah, io non tirerei in ballo la psicologia, quest’anno la montagna invernale la stanno affrontando proprio tutti: generalmente persone non preparate, molti alpinisti estivi che non hanno idea dell’ambiente invernale (ce ne sono tanti anche tra gli istruttori cai titolati di alpinismo che hanno esperienza zero sulle valanghe e la nivologia). La condizione di poter praticare solo attività all’aperto, le palestre chiuse, l’assenza dello sci in pista ha dirottato tantissimi ad improvvisarsi…Mi dispiace dirlo, ma già il fatto che fossero solo con ramponi e picozza la dice lunga sulla confusione che avevano in testa riguardo all’ambiente invernale e su cosa cavolo volessero farci lì. Aspettiamoci ancora molti incidenti e infortuni quest’anno.

    1. vero anche questo….poco più di un mesa fa mentre arrivati alla base di un canale sui 35° con il mio socio ci preparavamo a scendere, perchè giducato troppo pericoloso proseguire viste anche le condizioni di poca visbilità oltre che di manto non del tutto assestato, ci sono sfilati a fianco 4 ragazzini di 20anni con gli sci in spalla e le ciaspole ai piedi che sono spariti salendo nella nebbia….tutti figli degli impianti chiusi….

  7. Mah, a me sembra tutta un esagerazione. Possibile che l’uomo non sia capace di dominarsi e addirittura si deprima o scateni delle risse perchè non può andare in montagna? Manco fossero detenuti a cui è stata privata la libertà! La vera causa è che al giorno d’oggi, complici anche psicologi come quello di cui sopra che mettono la realizzazione dell’io al di sopra del bene comune ed inculcano nelle persone consapevolezze egoistiche, lo spirito di sacrificio fatto per un bene superiore o per la collettività non esiste più. Se avete tutta sta tragedia in corpo fatevi un giro tra le persone che stanno ai margini, quelli che veramente non hanno scelta (a cominciare dai migranti che scappano dalle guerra e sono rinchiusi nei campi profughi) e forse, magari, rivedrete la vostra vita con le giuste priorità cominciando ad avere atteggiamenti un pò meno egoistici.

  8. Tutto vero….in annate normali si aspetta la giornata perfetta per prendere un giorno di ferie e fare certe gite, ma quest’anno bisogna approfittare dei pochi giorni in cui “ci è permesso” e questo porta a uscire con condizioni non sempre ottimali in termini di meteo o bollettino valanghe….i più esperti sapranno di certo mantenersi comunque su itinerari sicuri ma nella massa è ovvio che la quota di chi rischia aumenta anche se, viste le condizioni e rischi che si corrono a finire anche solo in ospedale con una caviglia slogata, dovrebbe diminuire.
    E’ anche vero che fino ad ora nonostante la tanta neve le condizioni erano state piuttosto sicure….il vento delle ultime 2 settimane ha sparigliato le carte e aumentato a dismisura i pendii a rischio….il rialzo termico dei prossimi giorni, seguito da eventuale freddo, dovrebbe rimettere un pò le cose a posto…

  9. Sicuramente l’obbligo del confinamento e la conseguente impossibilità di svolgere una attività ricreativa, come compiere escursioni in montagna, alla lunga incide sulla psiche. Le limitazioni imposte non hanno una scadenza, per dirla in breve non si vede la fine del tunnel. Per molti compiere escursioni in montagna rappresenta una sorta di ricarica della batteria la cui energia è sottratta dalla cosiddetta “vita normale”. Alla lunga ci si logora i nervi e il rischio depressione è cosa possibile. Per quanto riguarda la maggior propensione a rischiare penso sia legata solo in parte al lockdown. Penso sia insita nella mentalità del singolo che cerca di spostare sempre più in alto l’astina della difficoltà. Nulla vieta, comunque, che il timore di tornare in lockdown a breve, spinga molti a tentare “quella gita” che poi potrebbe non essere più possibile compiere. Sicuramente gli effetti psicologici dei confinamenti imposti si faranno sentire, in tutti i campi della vita umana, nei prossimi anni.

  10. Si decreta su tutto con dettagli che entrano in on li risvolto di attivita’, si indaga dal punto di vista psicologico e poi..non in montagnna dove il distanziamento e’ampiamente praticabile , ma in centri cittadini si assiste a spettacoli di sbracamento non sanzionati.Esempi ..mascherine abbassate o non proprio in dotazione.Personaggi che la alzano al momento dell ‘ingresso in supermercato alimentari e poi la abbassano e sfiatano aliti pesanti infetti anche in era precovid.Visto gruppetto al bar che al passaggio di auto di VigiliUrbani , ha alzato in sincronia il bicchiere alla loro salute , abbassando le mascherine pendule.Si sfiora il ridicolo: avvisi stampati al PC o a pennarello del tipo “ammessi MINIMO 180 clienti per volta”o “distanza di sicurezza MASSIMO 2 metri..”
    Magari in valletta deserta innevata ai confini tra due comuni o regioni, una coppia viene sorpresa da pattuglia armata in assetto invernale con cingolato e sanziona, dopo mezz’ora di consultazione documenti .

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