News

Rigopiano quattro anni dopo, dolore e ristori in attesa del processo

Il dolore e il ricordo ci sono ancora. Questa mattina, mentre altri parenti delle vittime salivano verso Rigopiano, una semplice cerimonia ha ricordato la tragedia a Monterotondo, alle porte di Roma.

Giampaolo Matrone, di professione pasticciere, era tra gli ospiti dell’hotel sepolto dalla valanga del 18 gennaio del 2017, ed è stato estratto vivo dopo essere rimasto sepolto per 62 ore sotto alla neve e alle macerie. Sua moglie Valentina non ce l’ha fatta, ed è tra le 29 vittime. Questa mattina, nel quarto anniversario della tragedia, Matrone e sua figlia Gaia hanno ricordato Valentina con una poesia, con un video e con 29 palloncini, liberati nel cielo di Monterotondo. Quelli in ricordo delle altre vittime erano bianchi, quello dedicato a Valentina era rosso. 

Nel pomeriggio la commemorazione a Rigopiano si è svolta in tono minore, a causa delle regole imposte dal Covid e delle fibrillazioni del Governo, che hanno tenuto a Roma il premier Conte e i suoi ministri. Accanto a Marco Marsilio, presidente della Regione Abruzzo, erano i familiari di numerose vittime. Alle 15.30 si è tenuto un alzabandiera, poi un trombettiere ha suonato il Silenzio. Alle 16.15 è iniziata la Messa. Alle 16.49, l’ora in cui la valanga si è abbattuta sull’albergo, il Coro di Atri ha intonato Signore delle cime, e sono state rilasciate 29 lanterne. Alla fine sono stati letti i nomi delle vittime, gli “Angeli di Rigopiano”. Nonostante le attuali restrizioni, non vogliamo rinunciare a ricordare i nostri cari” spiega Gianluca Tanda, presidente del Comitato Vittime di Rigopiano. Per Giancarlo Di Vincenzo, Prefetto di Pescara, presente alla commemorazione, la giornata ha espresso “una vicinanza effettiva, secondo la vera natura abruzzese”, e dove “il dolore si esprime con un silenzio che è più eloquente di qualsiasi parola”. 

Gli eventi e le vicende giudiziarie

Ricordiamo in breve gli eventi. Il 19 gennaio 2017, una colossale valanga che si è staccata dal Monte Siella è scesa per mille e più metri di dislivello, e ha investito in pieno l’Hotel Rigopiano, che è stato schiacciato e spostato di una decina di metri verso valle. Delle 40 persone che erano nell’edificio, 29 sono morte e 11 sono state salvate. La grande quantità di neve caduta nei giorni precedenti, e la bufera del 18 e del 19 gennaio 2017, hanno rallentato i soccorsi, che comunque erano partiti in ritardo. 

I primi uomini e donne del CNSAS e degli altri corpi specializzati hanno raggiunto l’albergo verso le 4 del mattino del 19. Le notizie che arrivavano da Rigopiano, in quei giorni, hanno tenuto migliaia di italiani incollati alle televisioni, alle radio e al web.

L’inchiesta della Magistratura, partita dopo la tragedia, è stata ridimensionata due anni dopo, quando Nicola Colantonio, GIP del Tribunale di Pescara, ha disposto l’archiviazione di 22 indagati. Tra loro gli ex-presidenti della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi, di Francesco Provolo, all’epoca Prefetto di Pescara, e di numerosi funzionari della Regione e di altri enti. Fino a oggi, per un doloroso paradosso, l’unica condanna decisa dalla Giustizia italiana per Rigopiano è l’ammenda di 4.650 euro comminata ad Alessio Feniello, padre di una delle vittime, che nel 2018 ha violato i sigilli dell’albergo in rovina per deporre un mazzo di fiori, ed è stato sorpreso dai Carabinieri. 

Una buona notizia arriva dalla Giustizia civile. Sono stati versati nei mesi scorsi i primi 6 milioni di euro (su un totale previsto di 10) per gli eredi delle vittime. Non sono risarcimenti ma di “ristori”, un termine caro a chi ci governa. Un meccanismo ideato nel 2016 dopo la strage del treno Corato-Andria, e che ha consentito di accelerare l’erogazione dei fondi. A occuparsi di questi fondi è Giovanni Legnini, ex-vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura, e oggi Commissario alla ricostruzione per i terremoti di Amatrice, dei Monti Sibillini. Nella sua segreteria, da qualche tempo, lavora Federica Di Pietro, che ha perso entrambi i genitori a Rigopiano, e si è laureata in Scienze Politiche con una tesi sui danni causati in casi come questo dalla burocrazia della Pubblica Amministrazione. “Sono riuscita a dimostrare che a Rigopiano il problema è stato un misto di inefficienza amministrativa e irresponsabilità politica” ha dichiarato ieri Federica a Giusi Fasano del Corriere della Sera.

Il prossimo 5 marzo, finalmente, prenderà il via nel Tribunale di Pescara il procedimento penale che deve accertare le responsabilità relative alla strage. I 30 imputati dovranno rispondere di sette reati, dal disastro colposo all’omicidio plurimo colposo, e dall’abuso edilizio fino all’omissione e all’abuso in atti d’ufficio. Il Comitato delle Vittime chiede una giustizia veloce. Nell’udienza entrerà ufficialmente nel processo la perizia firmata da Nicola Sciarra, docente di Geologia all’Università di Pescara, che ipotizza una “correlazione” tra la valanga che si è abbattuta sull’albergo e le scosse sismiche delle 10.25 e delle 14.33 del 18 gennaio. Fino a oggi, invece, la Procura ha accettato la perizia di Igor Chiambretti, responsabile tecnico di AINEVA, che aveva escluso il nesso tra il sisma e il distacco della neve sul Monte Siella. 

Ragionando da profani, sembra difficile escludere che le scosse possano aver contribuito al distacco. Conoscendo le condizioni di quel giorno sul Gran Sasso, con metri e metri di neve caduti su dei pendii completamente gelati, sembra altrettanto logico pensare che la valanga si starebbe staccata in ogni caso. La perizia del professor Sciarra non è un contributo in un convegno scientifico, ma una prova processuale a discolpa degli imputati. In questo senso, se accettata, potrebbe creare un precedente pericoloso. Una simile quantità di neve, su fondo ghiacciato, può benissimo staccarsi da sola, e comunque l’Abruzzo è una Regione sismica. Basta visitare Rigopiano per vedere che il vecchio rifugio Acerbo, negli anni Trenta, è stato costruito accanto a un dosso, e non è stato quindi investito dalla valanga del 2017. L’albergo, piazzato proprio alla base di un ripidissimo vallone, è stato invece investito in pieno, e distrutto. La giustizia dev’essere giusta, e deve far sapere alle vittime e ai loro eredi di chi sono state le colpe. Le sentenze, però, creano anche dei precedenti. E quella sulla strage di Rigopiano, quando arriverà, dovrà garantire che in Abruzzo (e in Italia) non si costruisca più allo sbocco di canaloni valangosi.  

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close