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Sci o non sci, la montagna resisterà e si rigenererà

Sci o non sci. Hanno ragione gli abitanti e gli operatori economici dei comprensori sciistici alpini nel dire che la chiusura sarà economicamente un disastro. Molti di questi paesi alpini, almeno quelli orobici dove vivo, hanno pagato un prezzo altissimo di vite rubate dal Covid e dunque suppongo gli si stringa lo stomaco nel reclamare che gli impianti sciistici vengano aperti a Natale. È la follia divisiva di questa pandemia, che mette la salute contro l’economia famigliare e d’impresa, con lo spettro della povertà alla porta che contrappone imprenditori a cittadini impauriti, giovani a anziani, ambiental-naturalisti a “sfruttatori della natura”. Non mancano l’esacerbazioni, gli integralismi, l’uso strumentale e becero delle paure degli uni e degli altri.

Faccio delle considerazioni. Non è la prima volta che si arriva all’Epifania senza neve. Vero che da qualche anno l’innevamento artificiale ha consentito di mettersi ai piedi gli agognati sci e le tavole; anche se la mancanza di neve sotto Natale aveva limitato gli affari e ridotto gli incassi. Quest’anno però quel che pesa in più è l’impossibilità di muoversi dal proprio comune di residenza. Anche senza neve le seconde case si erano animate e gli alberghi avevano fatto il “quasi” pieno. Ma se i milanesi non vanno ad Alagna, a Courmayeur o a Foppolo (per tornare in bergamasca), ma nemmeno i bergamaschi di Bergamo o i bresciani ci possono andare, allora la questione si fa veramente dura. D’altronde se sei in una Regione arancione non puoi spostarti dal tuo comune, mentre se sei giallo come il Veneto puoi andare ad esempio a Cortina da Venezia, Padova o Treviso. Puoi andare anche fuori Regione attraversando zone rosse e arancioni se però approdi in una casella (ops, credevo di spiegare un gioco di società) Regione gialla.

Ma poi se arrivi a Cortina, gli impianti non funzionano, quindi? Fai trekking, te ne vai in giro con le ciaspole o fai sci alpinismo e fondo. Certo, non vanno gli impianti, ma sei in un posto bellissimo, nella natura, nel cuore delle Dolomiti. Ti senti “libero” e fino alle 18 puoi bere distanziato e in sicurezza un “ombra” (prosecco ecc.), non poco di questi tempi. Un contrappasso, che farà schiattare d’invidia i bolzanini, che hanno sempre pensato di essere più dolomitici dei cugini bellunesi, ma che adesso si sono tinti di rosso, tanto che non possono ricevere nemmeno i turisti appiedati.

Ma queste regole che paiono messe in piedi da Bartezzaghi, come la “settimana di enigmistica”, saranno di nuovo in edicola nei prossimi giorni con una nuova e aggiornata edizione del Dpcm. E quindi sarà tutto da rifare. Questo non denota, ci spiegano, l’incapacità di decidere e programmare, ma l’estrema attenzione, giorno per giorno e la capacità di adattamento (meglio resilienza) di ora in ora dei nostri molteplici, variegati e prudenti (non sempre) governanti. Viene da piangere, non da ridere.

E dunque le montagne si beccano le restrizioni cautelari del dopo “tutti liberi, marittimo” estivo, che ci dicono abbia generato la seconda ondata della pandemia. Certo, l’apertura di Cervina il mese scorso non è stato un bel vedere. E i milanesi, che son quelli che dilagano come una gioiosa armata nei fine settimana nelle valli alpine, sui navigli di casa loro non si son comportati troppo bene.

Ancora una volta invece gli svizzeri, che sono extraeuropei ma che possono partecipare ai bandi UE per lo sviluppo alpino, si fanno i cavoli loro, in barba al Covid che nella Confederazione colpisce duro e agli sfigati vicini di casa italiani, ai quali con un malizioso sorriso porgono inviti vacanzieri.

Sicuramente molti ci lasceranno ancora la vita a causa di questa pandemia e il dolore rimane enorme anche se circoscritto, quasi sempre, alla cerchia degli intimi. Ma so per certo che nell’indecisione e confusione totale, sci o non sci, la montagna resisterà come ha sempre fatto e si rigenererà con i suoi “montanari”. Spero che riesca anche a risollevare la testa, con un moto di orgoglio, liberandosi dallo “stigma” che in questi ultimi anni l’ha relegata a zona problematica agli occhi della politica centralista, sia statale che regionale. Spero in un augurabile e vicino futuro riesca a far valere le sue ragioni di garante degli equilibri tra natura ed umani.

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