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Dolomiti, chi ha paura del lupo?

E dell’orso? I due animali sono stabilmente tornati sulle Dolomiti, regalando straordinari incontri. E scatenando accesissime polemiche fra chi ne vuole la tutela assoluta e chi li abbatterebbe per tenere al sicuro uomini e bestiame.

Tratto dal numero di Meridiani "Dolomiti".

Per un anno, fino alla primavera del 2020, la fuga per la libertà di un giovane orso irrequieto ha diviso l’opinione pubblica in Trentino, e ha fatto sognare gli animalisti e i romantici di tutta Europa. La sera del 28 aprile l’orso M49, soprannominato Papillon come il protagonista del film del 1973 che aveva per protagonista Steve McQueen, è stato catturato nei boschi delle Valli Giudicarie dagli uomini del Corpo Forestale del Trentino. 

Un comunicato ha riferito che il bestione pesava 167 chili ed era in buono stato di salute. Dopo la cattura, il plantigrado è stato rinchiuso nei recinti del Casteller, alle porte del capoluogo. Molti hanno pensato che la sua reclusione, al contrario di quella dell’ergastolano francese, sarebbe stata definitiva. Invece, lo scorso 27 luglio, M49 è riuscito a fuggire di nuovo. 

La storia di questo giovane plantigrado è straordinaria. Già nel 2018, quando era poco più di un cucciolo, l’orso nato ai piedi delle Dolomiti di Brenta si è segnalato per la sua abilità nel saccheggiare alveari e baite, e nell’attaccare asini, vitelli e pecore. L’anno successivo i raid sono continuati, e nel luglio del 2019 la Provincia di Trento ha catturato per la prima volta M49, che è stato rinchiuso al Casteller. Ma l’orso è riuscito a fuggire, scavalcando un recinto elettrificato alto cinque metri. Poi, controllato a distanza dai Forestali, M49 si è spostato verso la Val di Fiemme, il Passo di Lavazè e l’Alto Adige, con altri attacchi alle malghe e al bestiame. Ha trascorso il letargo tra le foreste dei Lagorai, e al risveglio si è spostato sul Carega, al confine con il Veneto.
Ad aprile, anche grazie alla riduzione del traffico sull’Autostrada del Brennero, sulle strade locali e sulla ferrovia a causa del COVID-19, l’orso ha traversato la Valle dell’Adige, si è affacciato sul Garda, è tornato “a casa” tra l’Adamello e il Brenta. Qui però la sua fuga è finita. 

Gli orsi hanno una grande capacità di tornare verso casa” spiega Paolo Ciucci, zoologo dell’Università La Sapienza di Roma. “M49, arrivato alla maturità sessuale, si è spostato verso l’unico territorio dove avrebbe potuto trovare delle femmine. Lo ha fatto in primavera, subito prima della stagione degli amori”.

Il ritorno dell’orso

Quando M49 è stato catturato per la prima volta, il ritorno dell’orso in Trentino aveva da poco compiuto vent’anni. Tra il 1999 e il 2002, grazie alla lungimiranza della Provincia autonoma e a un finanziamento dell’Unione Europea, nove animali catturati in Slovenia sono stati liberati sulle Dolomiti di Brenta. Gli orsi autoctoni, ridotti a due o tre esemplari, non erano più in grado di riprodursi e di ripopolare la zona.

Se si bada ai numeri forniti dagli zoologi, il progetto LIFE Ursus è stato un grande successo. Oggi tra l’Adamello e il Brenta vivono 50-60 orsi, e ogni anno il numero si accresce. Ma se escursionisti e animalisti hanno applaudito, e il turismo in Trentino ci ha certamente guadagnato, gli agricoltori e gli allevatori locali hanno pagato un prezzo salato. 

Prima che per M49, la cattura è stata decisa dalla Provincia per tre orse, Jurka, Daniza e K2J, protagoniste di incontri ravvicinati con le arnie, con le malghe o con l’uomo. Nel 2017, K2J è stata uccisa dal sonnifero, sparato con un apposito fucile, che avrebbe dovuto addormentarla. Le polemiche sono state immediate, e con M49 è andata ancora peggio. Ma la possibilità di incontrare un orso, su un sentiero o accanto a una strada, è sempre più concreta per i residenti e i villeggianti del Trentino. L’8 giugno, sul Monte Peller, un incontro ravvicinato con la femmina JJ4, è costato delle ferite a due cacciatori locali in escursione. 

Il ritorno del lupo

Da qualche anno è tornato sulle Dolomiti anche il lupo, l’altro grande predatore europeo, che però ha fatto le cose da solo. Sopravvissuto all’estinzione sull’Appennino meridionale e centrale, dagli anni Ottanta questo animale è tornato in Toscana e in Emilia, poi in Piemonte e nelle Alpi francesi. Da lì, ha continuato il suo viaggio verso est. 

“I primi lupi sono comparsi nel 2006 sulle Prealpi venete, e qualche anno dopo nel Parco delle Dolomiti bellunesi” spiega lo zoologo Enrico Ferraro, che segue la specie in Trentino e in Veneto. Il primo branco si è formato nel 2012 in Lessinia. Nel 2017 ce n’erano sette. I dati del 2019 ci segnalano una ventina di branchi. In tutto parliamo di 100-120 lupi adulti, più circa altrettanti cuccioli” continua il ricercatore. La presenza del lupo sulle Dolomiti è una realtà. La specie vive nelle valli di Fiemme e di Fassa, nell’Agordino, sul Pelmo e sul Sella, sull’Altopiano di Asiago e in Val di Non. Tra le prede vi sono cervi, caprioli e camosci. Ma anche il bestiame di allevamento” conclude Ferraro.    

Ma se degli orsi si discute da tempo, e gli esemplari “irrequieti” come M49, K2J e Daniza sono da anni al centro del dibattito politico in Trentino, il ritorno del lupo ha scatenato toni ancora più drammatici. 

La specie è tutelata da una legge europea, recepita dal Parlamento italiano. In Alto Adige, però, le associazioni dei cacciatori di lingua tedesca hanno unito due problemi, parlando dei “lupi di Roma” e della necessità di eliminarli. “Il problema del lupo non va sottovalutato” commenta Duccio Berzi, un esperto di fauna selvatica che si occupa del predatore in Toscana, sulle Alpi e in molte altre parti d’Italia. Noi esperti siamo stati colti di sorpresa, e non abbiamo avvisato che il lupo sarebbe tornato sulle Alpi orientali così rapidamente. Gli allevatori, da decenni, fanno pascolare soprattutto bovini, più difficili da proteggere delle pecore” continua Berzi. 

Per consentire agli allevatori del Trentino, dell’Alto Adige e del Veneto di continuare a lavorare si progettano recinzioni innovative, e si pensa di usare la telemetria per conoscere gli spostamenti dei branchi. “Sono fondamentali i rimborsi per le pecore e i vitelli abbattuti. Ma se la Provincia di Trento paga rapidamente, gli altri enti si fanno aspettare troppo a lungo” prosegue Duccio Berzi. Nell’agricoltura e nell’allevamento di montagna, anche in aree ricche come l’Alto Adige e il Trentino, i margini di profitto per le aziende sono esigui. Se l’Europa e l’Italia hanno deciso di tutelare il lupo, il prezzo deve essere a carico di tutti noi, e non solo delle comunità interessate” conclude il faunista toscano. 

Il lupo, però, non è soltanto una minaccia. Chi va in cerca delle sue immagini su Internet e sui social scopre video e foto di cuccioli che giocano tra larici e pini mughi. E vede gruppi di adulti in marcia nella neve o sui prati, con lo sfondo delle vette dolomitiche. Sulle pagine social, e sui siti di gruppi e associazioni come Io non ho paura del lupo, Canislupus e Fiemme e Fassa-il ritorno del lupo, animato da Paolo Scarian e Cristina Canal, immagini suggestive e spensierate dei lupi si alternano a discussioni serrate con allevatori e politici locali. 

La ricomparsa dei predatori ha fatto capire a chi ama queste montagne da lontano che le Dolomiti non sono soltanto turismo, e che anche il lavoro di uomini e donne dev’essere tutelato e aiutato. Il ritorno dell’orso e del lupo significa che la natura c’è ancora, e regala a chi visita questi luoghi la possibilità di fare incontri straordinari. La presenza di questi animali, però, è anche una sfida difficile. Per gli allevatori e i contadini, per chi amministra le valli ai piedi dei Monti Pallidi, per l’Europa e per il governo di Roma. Per gli ambientalisti, che non devono recitare degli slogan ma capire una realtà complessa. Per tutti noi, che amiamo queste montagne straordinarie e vogliamo bene a chi ci vive.    

 

Altri approfondimenti sul numero 253 di Meridiani “Dolomiti”.

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