Pareti

Monte Bianco, un terreno tutto da scoprire. Parola di Matteo Della Bordella

Siamo abituati a vederlo sulle verticali cime patagoniche o sulle aspre muraglie rocciose della Groenlandia. Meno comune è raccontare di sue avventure sul Monte Bianco o su altre montagne di casa, ma in un’estate di Coronavirus accade anche questo. Matteo Della Bordella ci ha dato da scrivere qualche settimana fa per la sua nuova via sul Pilastro Rosso di Brouillard, aperta insieme a Francois Cazzanelli e Francesco Ratti (recentemente ripetuta da Federica Mingolla e Leonardo Gheza).

Matteo, come mai hai preso a dedicarti al Monte Bianco questa estate?

“Gli ho sempre dedicato poco tempo, concentrandomi spesso sulla Svizzera e sulle Dolomiti. È lì, vicino casa. Rappresenta, per me, un terreno nuovo ancora tutto da scoprire. È un posto veramente unico, solo sul Bianco puoi affrontare lunghi avvicinamenti in ambiente alpinistico uniti a bella roccia da scalare. L’esperienza che ne risulta è veramente completa.”

Merito anche della strana estate che stiamo vivendo…

“Si, alla fine è stata una buona occasione per riscoprire l’Italia e i luoghi dove si è fatta la storia dell’alpinismo.”

Raccontaci allora, cosa significa scalare sul Monte Bianco?

“La prima volta ti sembra lunga, soprattutto se fai come me e vai al Pilastro Rosso. La seconda già molto meno perché comunque sei in un ambiente che ti allena davvero molto. Dopo aver fatto diverse salite l’ultimo giro sul Pilier Derobè del Freney (con David Bacci) mi è sembrato quasi alla portata.”

Pilier Derobè, la tua personale ricerca dell’isolamento sociale?

“Un fine settimana su una via semi-sconosciuta, anche se meriterebbe molto di più. Con David abbiamo aperto e liberato una via aperta da Christophe Dumarest e Patrick Gabarrou nel 2007, dedicata a Jean Christophe Lafaille.”

Perché meriterebbe maggiore notorietà?

“Perché è una delle vie più belle e complete del Monte Bianco.”

Tu come l’hai scoperta?

“Sfogliando un vecchio numero della rivista Vertical. L’avevano aperta in artificiale e questo che ci ha spinti a provare la libera. Ma non solo, anche il fatto che fosse sul Pilier Derobè, un nome mitico nella zona del Freney.”  

Ora che l’avete liberata, qualche considerazione?

“Gabarrou la stimava 7c+, io direi 7b. A parte questo si tratta di un’arrampicata di qualità altissima, in quota, aperta con uno stile puro: pochissimi chiodi lungo tutta la via. Un capolavoro che non ha nulla da invidiare a itinerari ben più famosi come Divine Providence sul Grand Pilier d’Angle.”

Cambiamo discorso per l’ultima domanda: anche quest’anno sei nella rosa dei candidati a vincere il Piolet d’Or. Che ne pensi?

“È bello rientrare con regolarità nella lista. Ci sono scalatori veramente forti e salite belle e diverse. Devo notare che negli ultimi anni sono un po’ cambiate le salite candidate. Un tempo si dava maggior importanza anche alle salite su roccia, oggi si punta maggiormente sull’alta quota, su neve e ghiaccio. Poi tutto dipende dai criteri che si scelgono, di certo non è un lavoro facile per la giuria.”

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