Alta quota

Il Manaslu di François Cazzanelli: “Un momento stupendo”

Lo scorso 26 settembre François Cazzanelli ha raggiunto la vetta del Manaslu ed è rientrato al campo base nel tempo record di 17 ore e 43 minuti percorrendo la via normale alla montagna. Partito dal campo base insieme ad Andreas Steindl, quest’ultimo ha iniziato a rallentare la marcia una volta superata quota 7mila. François ha però continuato senza mollare, insieme all’amico Marco Camandona, raggiungendo la vetta in un one push che dimostra ancora una volta l’incredibile motore della guida valdostana.

   

François tu sei stato velocissimo, ma più in generale tutti voi siete stati molto veloci. Non è passato molto tempo dall’arrivo al campo base al tentativo di vetta…

“Si, siamo stati molto rapidi. Il 13 settembre eravamo tutti al campo base e tredici giorni dopo abbiamo fatto la cima.”

Quindi anche acclimatazione velocissima?

“Siamo decisamente stati veloci, volevamo sfruttare le finestre di bel tempo preannunciate dal 25 settembre in poi. I pochi lavori fatti sul Pangpoche, che ci hanno portati una volta sopra quota 5mila, sono stati utili a darci una base poi, dopo l’arrivo al campo base del Manaslu, abbiamo immediatamente iniziato le rotazioni sulla montagna. Il 14 settembre eravamo a campo 2, quindi abbiamo continuato fino a circa 6600 m.”  

Veniamo però a te, cosa significa salire un Ottomila in appena 17 ore?

“Bella domanda. Il Manaslu è una montagna tecnicamente facile, ma salirlo in poco tempo significa anzitutto fare un grosso sforzo mentale. Sapevamo di poterlo fare, ma quando sei al campo base tutto sembra in un limbo d’incertezza.”

In che senso?

“Parlare di one push con molti alpinisti al campo base è difficile, è una cosa che non esiste. Ti guardano come se fossi un matto, uno che la spara grossa.”

È così con tutti?

“No, chi capisce di cosa si sta parlando ti aiuta a livello mentale incoraggiandoti. Per fare un esempio al campo base ho incontrato Kami Rita, lo sherpa che ha raggiunto la vetta dell’Everest 24 volte, e sentendo del progetto ci incitava. Essere incoraggiati da un alpinista come lui non poteva che farci pensare positivo. Anche un altro sherpa, che era stato con me in vetta all’Everest, continuava a ripeterci che sarebbe stato possibile e che ci avrebbe aspettato in vetta (così è poi stato). Oltre alle loro conservo il piacevole ricordo delle parole di Mario Casanova, gestore del rifugio Mantova al Vioz con cui ero stato a fare un viaggio sci alpinistico in Cina, anche lui al campo base. Forse era più gasato di me e Andreas all’idea del nostro progetto.  

Persone e parole che ci hanno aiutato molto ad affrontare quei momenti pre-partenza, difficile è invece stato rimanere al campo base guardando i nostri compagni iniziare la loro salita sulla montagna. In quel momento ti passano tante domande nel cervello, ti domandi se davvero riuscirai a fare qualcosa o se tutto quello che hai immaginato non sia i realtà nient’altro che un grosso sbaglio.”

A proposito dell’attesa al campo base. Come mai avete deciso di partire di notte?

“È stata una scelta dettata dalla meteo. Così facendo saremmo arrivati oltre campo 4 al mattino, quando erano previste delle schiarite, necessarie per poter tentare le vetta.”

Salita veloce, nessuno problema?

“Qualcosa è accaduto. Siamo partiti con tuta e scarponi d’alta quota nello zaino, convinti di poter arrivare fino a campo 3 in ‘assetto leggero’. In realtà poi il freddo provato ci ha costretti a vestirci già a campo 2. A parte questo però la prima parte è andata molto bene, Andreas era molto in forma e saliva meglio di me. Oltre campo 3 poi ci siamo trovati in una situazione meteo davvero sfavorevole. Il forte vento aveva trasportato molta neve, coprendo completamente la traccia. Ci siamo quindi trovati a dover ritracciare tutto, in alcuni tratti con la neve al ginocchio.”

Nonostante questo non avete perso tempo…

“La nostra fortuna è stata che fino a campo 3 eravamo di un’ora e mezza in anticipo rispetto alla nostra tabella di marcia teorica, superato però questo tratto difficile siamo rientrati nei tempi che avevamo calcolato.”

Salendo a un certo punto la stanchezza prende Andreas e ti ritrovi solo. Com’è stato continuare?

“Non è stato un momento preciso. Man mano mi sono accorto che Andreas si rallentava e non stava più al passo, facendo così iniziare un’altra fase della spedizione. Non è stato facile, è cambiato tutto. Partiti in due mi sono ritrovato da solo, certo non solo come Bonatti sulla nord del Cervino, ma ero rimasto senza compagno in quella trance che spesso precede l’arrivo su una vetta himalayana. Mi è però andata bene perché poco dopo ho trovato Marco, con cui ho fatto gli ultimi 300 metri mentre Andreas si è unito agli altri compagni.”

Com’è stato arrivare in vetta con Marco?

“È stato il nostro secondo Ottomila dopo il Lhotse. A livello emotivo è stato stupendo, siamo rimasti in cima mezz’ora a divertirci, a farci foto e a goderci il momento. In quel momento sulla performance ha prevalso il piacere di essere in vetta con un amico.”

Un momento di relax, poi giù a razzo fino a campo base…

“L’arrivo a campo base è stato complicato. Da campo 2 a scendere ha iniziato a piovere quindi sono arrivato bagnato fradicio, così la prima cosa che ho fatto è stata entrare nella tenda cucina. Qui c’è stato un momento divertente perché il cuoco e gli altri ragazzi non si aspettavano di vedermi già di ritorno, con la vetta in tasca. Mi hanno guardato un po’ straniti, poi è iniziata la festa. Anche se i veri festeggiamenti sono partiti quando tutti hanno raggiunto il campo base e mi sono riunito a Marco, Andreas, Francesco e Emrik.”

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