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In volo oltre la vetta dell’Everest. Svelato il segreto dell’oca indiana

L’oca indiana (Anser indicus) è nota per la sua estrema capacità di volo. Risulta infatti in grado di migrare annualmente dall’India alla Mongolia superando le vette himalayane, Everest compreso. Di recente un team di ricercatori ha chiarito in che modo siano in grado di sostenere un volo oltre quota 8.000 metri.

Quando raggiungono altezze in cui l’ossigeno atmosferico scende al di sotto del 7%, il loro metabolismo viene rallentato così da adattarsi alla nuova condizione. Al contempo iniziano a battere le ali quanto più velocemente possibile. Nell’articolo scientifico, pubblicato a inizio agosto sulla rivista eLife, vengono fornite dunque alcune risposte a quello che ha rappresentato per decenni un mistero della biologia.

1953. Un’oca in vetta all’Everest

Il primo avvistamento delle oche indiane oltre quota 8.000 m sulle vette himalayane risale al 1953, durante la prima ascesa del Monte Everest ad opera di Edmund Hillary e Tenzing Norgay. Un volatile in volo a 9 km da terra, 2 chilometri al di sopra del limite noto per le altre specie animali.

Da quel momento la scienza si è mobilitata per scoprire il segreto di questo volo ad alta quota. Sono stati condotti studi a riposo e in attività, in condizioni di ossigeno ottimale e in ipossia, senza riuscire però a comprendere la dinamica del volo a 9.000 metri di quota.

2019. Il segreto dell’oca indiana è finalmente svelato

Il merito di avere colmato tale gap va alla fisiologa e astronauta della NASA Jessica Meir che, insieme ad altri colleghi, ha avviato un esperimento eccezionale nel 2010.

19 pulcini di oca indiana sono stati cresciuti, insegnando loro a volare in un tunnel del vento lungo circa 30 metri, con indosso sensori per il rilevamento di parametri fisiologici e maschere dell’ossigeno. Gli scienziati hanno utilizzato le maschere per simulare condizioni di bassa, media e alta quota. Mentre i sensori hanno monitorato il battito cardiaco, l’ossigenazione del sangue, la temperatura corporea e il tasso metabolico dei volatili.

Giocare con l’imprinting

Per allenarli a prendere parte all’esperimento fin dalla nascita, il team di ricerca ha sfruttato il concetto di “imprinting”. Forse ricorderete la magnifica foto di Konrad Lorenz seguito dalle sue figlie oche. Fu proprio lui a coniare tale termine. Il padre dell’etologia definì l’imprinting come “l’impronta che un cucciolo o un bambino riceve nella prima infanzia dalla famiglia e dall’ambiente circostante”.

Jessica è stata scelta come mamma per le 19 oche. Alla schiusa delle uova, raccolte nel Sylvan Heights Bird Park di Scotland Neck, in North Carolina, i pulcini hanno visto il suo volto. Insieme a lei hanno poi imparato come utilizzare il tunnel del vento.

“È stata una delle esperienze più entusiasmanti della via vita – ha dichiarato la fisiologa in una intervista al Post. Prima di essere introdotti nel tunnel, i piccoli si sono allenati nel volo seguendo la Meir in sella alla sua bici, e poi in motorino. Sempre più veloci.

Metabolismo rallentato e volo accelerato

Dagli esperimenti condotti nel tunnel del vento si è dedotto che gli individui adulti siano in grado di rallentare il metabolismo e la frequenza cardiaca di pari passo con la diminuzione della saturazione di ossigeno dell’aria. A volte addirittura mostrano un raffreddamento del sangue. L’emoglobina, in tali condizioni termiche, incrementa la sua capacità di legare l’ossigeno. Come conseguenza, il sangue trasporta più ossigeno rispetto alla norma ma, al contempo, si bruciano meno calorie.

Accanto alla strategia metabolica, il segreto del volo ad alta quota risiede anche in un incremento della frequenza del battito alare. 

In un’intervista rilasciata al Times, la dottoressa Julia York, co-autrice del lavoro insieme a Jessica Meir, ha chiarito che si tratti di meccanismi acquisiti su scala evolutiva. “Le oche hanno iniziato ad affrontare le loro migrazioni milioni di anni prima che l’Himalaya raggiungesse le altezze che vediamo noi oggi. Man mano che le montagne si facevano più alte, gli uccelli a loro volta sono stati spinti a volare più in alto. Sono dei fantastici atleti”.

Dall’oca indiana all’uomo in alta quota

I dati raccolti in questi primi 9 anni di ricerca rappresenteranno la base per nuovi studi sulla fisiologia d’alta quota. Dalla ricerca sui volatili si può infatti pensare di trasferire principi nell’ambito della medicina umana.

La dottoressa Meir sarà a sua volta protagonista di uno studio d’altissima quota. Il 25 settembre decollerà infatti dalla Stazione Spaziale Internazionale per studiare gli effetti della durata dei voli spaziali sulla fisiologia umana. “Alla fine pago il conto – ha dichiarato al Post stavolta sarò io ad essere pungolata!”.

 

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