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Intervista a Luca Argentero. La montagna è un mantra, un riequilibratore

Quando sei figlio di un maestro di sci e nipote di una Guida Alpina che, nel corso della sua carriera, si è cimentato sui ghiacci della seconda montagna della Terra non puoi certamente essere immune alla passione per la montagna. Se poi sei torinese, allora il gioco e fatto e quelle montagne ad appena un’ora di macchina dal centro città diventano facilmente luogo di svago in cui vivere la natura e dove respirare l’aria fresca della quota. È andata così per molti figli della Torino industriale e così è stato anche per l’attore Luca Argentero che rintracciamo al telefono durante una pausa tra una data e l’altra del suo nuovo spettacolo teatrale “È questa la vita che sognavo da bambino?”. Uno storytelling, uno spettacolo in cui si abbatte la famosa quarta parete aprendo a un dialogo diretto con il pubblico. Un’ora e trenta circa in cui Argentero narra le storie di uomini che hanno segnato il suo percorso di crescita. Tra questi anche l’alpinista esploratore Walter Bonatti.

“Bonatti rappresenta la mia infanzia. Se agli altri bambini raccontavano le favole a me, mio nonno, mio zio e mio padre, raccontavano le avventure di Walter” spiega Luca. “Le sue erano le storie con cui mi addormentavo da piccolo, i suoi libri occupavano le mensole della casa. Era l’eroe della famiglia” l’alpinista bergamasco trapiantato a Courmayeur “dov’è stato molto presente in quella comunità che ho frequentato da ragazzo e che frequento tutt’ora”.

 

Luca, ci par di capire che la tua vita sia stata profondamente segnata dalla passione per la montagna, è così?

Ho iniziato a frequentare la montagna ancora neonato. Le terre alte sono state una presenza fissa, una costante che in famiglia continuiamo a coltivare tutt’ora. Probabilmente mentre stiamo parlando mio padre è abbarbicato da qualche parte a godersi la natura. (ride)

Da ragazzino erano due i miei punti di riferimento: Bonatti, che è stato la mia letteratura, e Alberto Tomba di cui avevo il poster in camera.

Ne parli come fossero pilastri portanti di una parte della tua vita. Come, questi due atleti legati al mondo della montagna, hanno contribuito a segnare la tua vita?

Questa è la riflessione a cui sono arrivato dopo essermi chiesto se questa fosse la vita che sognavo da bambino. Ho cercato di ragionare sulle scelte che hanno portato uno studente di economia e commercio a prendere una strada del tutto distonica rispetto a quella che si stava costruendo, cominciando a fare l’attore.

La risposta?

Mi hanno stimolato con il loro coraggio, che poi è il minimo comune denominatore tra questi personaggi. Hanno influenzato il mio immaginario e il mio carattere spronandomi a dare il massimo quando qualcuno ti dice che una cosa è impossibile da fare. È un meccanismo che scatta e ti da lo stimolo per riuscire, nello sport come nella vita, indipendentemente dall’obiettivo che ti sei posto.

Le storie di Bonatti o di Tomba mi hanno dato il metodo, mi hanno insegnato come intraprendere nuove avventure che potrebbero sembrare assurde, che sembrano assurde a me stesso ma che in realtà mi hanno permesso di vivere una vita felice e appagante come quella che conduco oggi.

Lasciamo per un attimo i personaggi per tornare a parlare di terre alte. Cosa rappresenta per te la montagna?

È un mantra. Io passo il novantanove percento della mia vita in una realtà che si muove con ritmi velocissimi, dove succedono un sacco di cose in pochissimo tempo. La montagna diventa non solo un rifugio, ma un riequilibratore che compensa la mia agenda quotidiana.

L’ambiente della quota ti obbliga a un ritmo che è quello del tuo respiro, del tuo cuore. Ti obbliga a riconsiderare la velocità scegliendo quella più funzionale al tuo organismo. Non puoi forzare oltre quel che il fisico ti permette e devi imparare a calibrare lo sforzo con le sensazioni senza forzare nulla a causa degli impegni, come spesso mi accade di fare nella mia quotidianità.

Spesso condividi con il tuoi fan questi momenti di pausa, di stacco dalla velocità quotidiana…

Trovo utile, da personaggio pubblico, l’opportunità di condividere e far conoscere una passione sana. Quello che faccio è un richiamo costante verso uno stile di vita votato all’attività sportiva e alla vita all’aria aperta. È un invito per sottolineare, soprattutto alle nuove generazioni, quanto sia importante e bello ritrovare il piacere di passare del tempo a contatto con la natura.

Io non posso che ritenermi fortunato ad aver avuto un padre che il sabato pomeriggio, anziché portarmi al centro commerciale, mi portava a fare una ferrata.

Sei da molto tempo impegnato nella divulgazione della montagna, qualche anno fa è infatti andato in onda il factual “Pericolo Verticale” dedicato alla valorizzazione del lavoro svolto dai volontari del Soccorso Alpino. Un modo per conoscere le terre alte da un punto di vista nuovo?

Per conoscere e far conoscere un’eccellenza. Il lavoro svolto dalla struttura e dalle persone del Soccorso Alpino Valdostano (Il Soccorso Alpino Valdostano era il protagonista del programma tv, nda) è un punto di riferimento per chi vive la montagna. Un’organizzazione che ti garantisce la tranquillità e la sicurezza di poter affrontare una salita avendo alle spalle la garanzia che, in qualche modo, c’è qualcuno che veglia su di te.

A fianco di questo c’era poi lo scopo di mostrare e far capire come qualsiasi ambiente naturale vada affrontato con le dovute precauzioni: se si vuole andare in montagna è necessario sapere cosa si sta facendo.

Grazie Luca per la disponibilità e per quel che ci hai raccontato sulla tua passione. Toglici un’ultima curiosità: è questa la vita che sognavi da bambino?

Molto meglio di quella che sognavo da bambino, ancora più figa, ancora più divertente.

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