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Daniele Nardi, il Semprevisa e il Lazio – di Stefano Ardito

Sabato 23 marzo, centinaia di persone hanno partecipato a Sezze alla fiaccolata in ricordo di Daniele Nardi. Domenica prossima, 31 marzo, ne arriveranno almeno altrettante per ricordarlo sui 1536 metri del (o della) Semprevisa, la cima più alta dei Lepini, la catena calcarea che separa la Pianura Pontina dalla Ciociaria.  

E’ giusto così, perché i Lepini erano le sue montagne di casa. Per allenarsi in vista di spedizioni e ascensioni, Daniele saliva spesso al Semprevisa. A volte partiva di corsa da casa, superando un dislivello di oltre 1200 metri. Essere lassù, ne sono testimone, gli piaceva. 

Ai piedi del Semprevisa, al confine tra i territori di Sezze e Carpineto Romano, esiste una Valle Nardi. E’ un toponimo, immagino, che testimonia del lavoro di generazioni di montanari del passato. Ed è stato proprio Daniele, sorridendo, a raccontarmi questa storia. 

Qualche anno fa, con l’amico Federico Santini, che poi lo ha seguito sul Nanga in veste invernale, ho girato un documentario su e con Daniele Nardi per il programma “Geo & Geo” di Rai Tre. Ho usato un po’ di sue immagini d’archivio (l’Everest, l’Ama Dablam, il Nanga Parbat in estate, la terribile spedizione al K2 dov’è scomparso Stefano Zavka), e in quelle che abbiamo girato noi l’ho fatto vedere nei suoi paesaggi di casa. Una corsa sulla spiaggia di Sperlonga, un’arrampicata a Gaeta, la sua amata palestra al coperto di Sezze. Ho concluso il documentario in vetta al Semprevisa, in un pomeriggio di nuvole e sole, con Daniele che legava alla croce delle bandierine di preghiera tibetane. Ci tenevo a raccontarlo così, in bilico tra le sue radici nel Lazio e la sua passione per le grandi montagne del mondo.

Daniele e Claudio Nardi in arrampicata a Gaeta, foto Stefano Ardito

Vorrei che questo ricordo rimanesse. Daniele ha fatto delle cose importanti tra Himalaya e Karakorum, e ha salito delle grandi vie al Monte Bianco e in altre zone delle Alpi. Ma il suo pubblico, che è sempre stato numeroso, lo ha sempre percepito come “uno di noi”, uno del Lazio. 

Le avventure di Daniele sulle grandi montagne del mondo hanno aiutato molti ragazzi e ragazze del Lazio a scoprire il fascino dei Lepini e degli altri bellissimi “montarozzi” nostrani, e le pareti verticali di Norma, Sperlonga e Gaeta, con le loro magnifiche vie di arrampicata. 

Ho sentito qualche amministratore locale parlare di intitolare a Daniele una vetta dei Lepini. Non so se lo faranno, ma temo non sia una buona idea. Queste cose non si fanno più nemmeno in Himalaya, farla qui darebbe un’immagine erroneamente provinciale di un alpinista che era un cittadino del mondo. 

Mi piacerebbe invece che, grazie alla storia, alle imprese e ai racconti di Daniele, chi amministra il Lazio e le sue montagne capisse finalmente l’importanza dell’alpinismo e dell’arrampicata, per i residenti e per chi ci viene a trovare da fuori. 

Mi piacerebbe che, per ricordare Daniele, fossero tolti i divieti di scalata, da Ripa Majale a Gaeta, che vengono ciclicamente imposti sulle nostre falesie anche dove non ci sono specie rare da proteggere. Mi piacerebbe che, per lo stesso motivo, fossero tolti i divieti immotivati che bloccano l’accesso a tanti sentieri. 

So bene che Daniele era un professionista della montagna in maniera diversa dalle guide alpine. Però mi piacerebbe che la Regione Lazio, dopo trent’anni di attesa, recepisse finalmente la legge sulle guide alpine, creando un collegio regionale, e tutelando gli eventuali clienti male informati dagli abusivi. 

Mi piacerebbe che, al Terminillo o su un altro massiccio del Lazio, venisse intitolata a Daniele una scuola regionale di montagna e alpinismo dove insegnare la magìa della roccia, della neve e del ghiaccio ai ragazzi, e dove formare gli alpinisti del futuro. 

Mi piacerebbe che una struttura del genere contribuisse ad arginare (proprio al Terminillo, guarda un po’…) i progetti di nuovi impianti di risalita e nuovi sfasci, semplicemente spiegando che in montagna, tutto l’anno, si possono fare tante cose diverse dallo sci di pista. 

Sono convinto che, se si facessero una o più di queste semplici cose, la memoria di Daniele resterebbe più viva nella memoria di chi ama le rocce e le montagne del Lazio.   

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