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Nives Meroi e Romano Benet: scorretto valutare l’operato di un altro alpinista

Nives Meroi e Romano Benet hanno completato, ormai due anni fa, la loro “corsa” alle più alte vette dei Pianeta con la salita dell’Annapurna (8091 m), l’Ottomila ritenuto più pericoloso se ci volessimo basare su una mera questione statistica. Una montagna affascinante che, purtroppo, condivide questo infausto primato, calcolato sulla base del numero di decessi, con il Nanga Parbat (8125 m). La “montagna nuda” su cui Nives e Romano hanno calcato per la prima volta quota ottomila raggiungendone la cima.

Era il 1998 quando sono saliti sul nono picco e, per uno strano gioco del destino, il loro quattordicesimo successo è proprio stato su quell’altra montagna, la decima per altezza, legata al Nanga Parbat da questo macabro e matematico calcolo.

 

Nives e Romano, scusate la banalità di questa domanda ma, cosa vi spinge ad andare verso gli 8000 metri?

Pensiamo che per un alpinista, per un amante dell’alpinismo, sia normale avere quella curiosità di capire, di scoprire i paesaggi e gli ambienti più maestosi. Vieni attratto come una calamita dalle alte quote.

Il Nanga Parbat è stato il vostro primo Ottomila…

Si, è stato il primo Ottomila di cui abbiamo raggiunto la vetta, siamo saliti lungo la Kinshofer. Con noi c’era anche Kurt Diemberger che, per due novizi dell’altissima quota, rappresentava un punto fermo dell’himalaysmo. Fare una spedizione con lui è stata una grande esperienza, è un personaggio impegnativo ma interessante. Da quel giorno siamo diventati ottimi amici.

La spedizione è andata molto bene, avevamo quel mito del Nanga Parbat montagna pericolosissima in realtà però la Kinshofer presenta le stesse pericolosità di altri Ottomila. Come prima vetta himalayana una gran bella esperienza.

Avete avuto quindi occasione di passare molto tempo sul versante Diamir della montagna. Cosa pensate dello sperone Mummery?

L’abbiamo osservato, tutti conosciamo la storia del tentativo di Mummery. In effetti è vero che, a guardarla, sembra la via più logica alla vetta ma come alpinista non la farei. Non la affronterei per quel che c’è sopra e perché, sapendo della storia di Messner che lungo quella via è sceso, mi da l’idea di essere un po’ più pericolosa di altre. (risposta di Romano)

Parliamo quindi di una scelta dovuta alla personale percezione del rischio. Quest’idea può però diventare un crisma universale o il grado di pericolo a cui sottoporsi è una cosa soggettiva?

Ci sono pericoli obiettivi, per esempio se passi sotto un seracco sai che può venire giù. Oltre a questo però, va detto che l’esperienza sul posto e la conoscenza della parete ti può far meglio valutare se in quel momento il pericolo è maggiore o minore. Ci vuole tanta esperienza, ovviamente poi ogni tanto, nel prendere decisioni si è guidati anche da qualcos’altro. Sta a te scegliere se intraprendere una salita. È come sul K2 dove si sa che dal “collo di bottiglia” ogni tanto viene giù un pezzo, eppure ci passi sotto lo stesso.

Da alpinista si può giudicare il sogno di un altro alpinista?

No, quello secondo noi no. Ognuno ha i suoi parametri di visione delle cose, quindi non ci sembra nemmeno giusto. Troviamo scorretto valutare l’operato di un altro. Quando ci si trova sulla montagna un alpinista prende una decisione in modo consapevole e valutando bene tutto. Non ci si può esprimere.

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