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Sperone Mummery al Nanga Parbat: sfida sublime e estrema. Nardi ottimista

L’American Alpine Club, dopo il riconoscimento della vetta di Elisabeth Revol e Tomek Mackiewicz da parte dell’AAJ, ci regala il premio per il coraggio e la solidarietà alpinistica a Bielecki e Urubko per essere saliti lo scorso inverno a campo 2 del Nanga Parbat, recuperando la francese, e a Botor e Tomala per esser stati portati in elicottero sulla parete del Nanga, poco sotto campo 1, e aver fatto parte della squadra di soccorso. 

Il Nanga vestito d’inverno è sempre un gran bel protagonista, con i suoi eroi, cavalieri e giocolieri.

È ripartito nei giorni scorsi “il Nardi”. L’obbiettivo è da anni un tarlo che rode nel profondo del suo cuore: lo sperone Mummery. Una linea estetica e tecnica simbolo della creatività alpinistica, generata alla fine dell’ottocento e mai salita. Un sogno, un’ambizione della quale Daniele Nardi si è da anni invaghito: invano fin ora, nonostante i tentativi.

Ci riprova ora con Tom Ballard e due alpinisti pakistani di tutto rispetto, Rakmat Ullah Beg che nel 2014 sul K2, a 8611m, è arrivato con un GPS della Laika, e Karim Haiat.

Ho inviato un messaggio a Daniele e gli ho chiesto quante possibilità pensa di avere di superare lo sperone, di arrivare in vetta e se pensa di ripiegare sulla Kinshofer se le condizioni sul Mummery diventassero impossibili. Mi ha risposto con un messaggio vocale su WhatsApp. La voce è sicura e declina alcuni concetti: “Ho una sensazione molto buona perché quest’anno siamo soli sulla montagna e questo ci da tanto spazio per poter operare come piace a noi. Non ripiegherei assolutamente sulla Kinshofer, ma non la escludo del tutto per la discesa dalla montagna. Tom è veramente carico e tutto il gruppo è coeso. Ho veramente una bella sensazione. Le condizioni della montagna al momento sembrano buone. Le possibilità di fare lo sperone sono molto buone, di arrivare in vetta sono più scarse. Fare lo sperone è molto dura e bisognerà vedere se avremo sufficienti energie per saltare sul plateau e continuare dai 6900 metri fino al trapezio sommitale e alla vetta”.

Pare, ed è, una sfida estrema, che così raccontata sembra avere senso, anche se la “buona sensazione” non è un numero percentuale. Personalmente ho in testa dei numeri, per indicare la percentuale di riuscita, che sono piuttosto piccoli. Sia per l’opzione solo sperone, sia per quella sperone più vetta.

La salita dello scorso anno di Elisabeth e di Tomek, rimasto a 7200 metri per sfinimento dopo aver salito in inverno e fino in vetta una via nuova, lunga e complessa in stile alpino, indica che si può fare, ma che i limiti sono estremi e i rischi ancor di più. Sono certo che Daniele, Tom, Rakmat e Karim lo hanno valutato e che metteranno a punto tutte le antenne e attiveranno tutte le assicurazioni, anche quelle sotto forma di polizza, che consentano loro di prendersi una percentuale di rischio bassa non superiore a quella della riuscita. Sarà difficile.

Per Nardi è la sfida finale, quella del riscatto. È persona responsabile, lo sono anche i suoi compagni. Non credo che la vorrà buttare, come alcuni sornioni ammiccano malevoli, in caciara. Anche se le possibilità di farcela sono piccole, rispetto la sfida e gli do credito, come l’ho dato a tutti, ma proprio tutti, coloro che con il Nanga in inverno si sono confrontati, “vincitori e vinti”.

Racconteremo la storia della Spedizione, la sfida, i fatti, il coraggio e se del caso gli errori.  Lo abbiamo sempre fatto.

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