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Il segreto dei popoli delle Ande

Carenza di ossigeno, basse temperature, intense radiazioni UV. Tre caratteristiche degli ambienti andini di fronte alle quali gli scienziati si sono a lungo interrogati su quali siano stati gli adattamenti che hanno consentito alle popolazioni locali di vivere a 2500 metri di quota. Un recente studio pubblicato su Science Advance suggerisce come risposta che gli abitanti delle vette del Sud America abbiano subito, nel corso di migliaia di anni, delle modifiche alla muscolatura cardiaca.

Il team di ricerca della Emory University di Atlanta capitanato dall’antropologo John Lindo, ha sequenziato sette genomi di abitanti andini vissuti nei pressi del Lago Titicaca in Perù tra 6.800 e 1.800 anni fa e li ha poi confrontati con i dati genetici di 64 individui appartenenti a due popolazioni indigene moderne, gli Aymara della Bolivia e gli Huillice- Pehuenche del Cile meridionale.

Gli scienziati  sono andati nello specifico a ricercare la presenza di una serie di mutazioni già identificate nel corso di precedenti studi sulle popolazioni dell’altopiano del Tibet, associate a caratteristiche fisiologiche che consentono di vivere ad alte quote. Un esempio è la riduzione dei livelli di emoglobina nel sangue, un fattore che notoriamente aumenta l’efficienza dell’organismo nel consumo di ossigeno.

In realtà non sono stati trovati simili segnali di adattamento all’ipossia. I popoli delle Ande hanno piuttosto mostrato di aver subito nel corso dei secoli delle mutazioni a carico del gene Dst, associato alla salute cardiovascolare e allo sviluppo del muscolo cardiaco. Queste modifiche avrebbero comportato un aumento delle dimensioni del ventricolo destro con conseguente moderata ipertensione polmonare.

Un altro gene risultato interessante nello studio degli adattamenti alle alte quote è il Mgam, associato alla digestione dell’amido. Le patate rappresentano un componente essenziale della dieta andina, pertanto nel corso della loro evoluzione le popolazioni locali hanno subito adattamenti selettivi. Confrontando le attuali popolazioni contadine delle Ande con quelle di pianura (gli Huilliche-Pehuenche) dedite alla caccia, il gene mostra infatti di aver subito delle mutazioni, secondo gli scienziati iniziate circa 8750 anni fa nel periodo in cui in accordo con i dati archeologici, le due popolazioni si separarono. In questo modo i montanari avrebbero sviluppato una maggiore capacità di digestione dell’amido.

Conclusioni contro cui sono state sollevate perplessità come nel caso dell’antropologo Lars Fehren-Schmitz  dell’Università di Santa Cruz, che sottolinea un’eccessiva distanza geografica tra le due popolazioni per poter affermare con certezza che le mutazioni siano sopravvenute dopo la migrazione alle alte quote. È infatti possibile che semplicemente i genomi fossero già molto diversi in partenza. “È come confrontare pere e mele” – ha affermato Bastien Llamas, genetista dell’Università di Adelaide in Australia – “Unico modo per vedere se effettivamente le mutazioni siano legate ad un adattamento alla quota sarebbe comparare le antiche popolazioni andine con le antiche popolazioni delle vicine coste del Perù e del Cile settentrionali, non le moderne!”. Affermazione che trova concorde lo stesso Lindo secondo cui sarebbe certamente una soluzione migliore, se solo tali dati fossero disponibili.

Una ulteriore scoperta interessante effettuata durante le ricerche del team di Atlanta riguarda la presenza nel genoma andino di un recettore espresso dal sistema immunitario, il CD83, e attivato in risposta al vaccino contro il vaiolo. Ciò suggerisce che le antiche popolazioni della montagna, nel periodo della conquista spagnola del Sud America, non solo sarebbero state avvantaggiate dalla quota cui gli Europei non erano abituati – motivo per cui si concentrarono sulla conquista e distruzione delle aree pianeggianti – ma anche dalla resistenza al vaiolo.

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