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Trentino, una nuova economia dopo il disastro. Dellapiccola: non rimboschiamo tutto

7mila ettari di boschi spazzati via da una vento a oltre 200 chilometri orari. Per fare un paragone 10mila campi da calcio ricoperti di foresta cancellati in una manciata di ore. Un numero che fa paura e impressiona. Un numero che ha cambiato completamente l’aspetto di molte valli trentine e un numero che oggi, a dieci giorni dalla catastrofe, lascia i governatori regionali con tante domande.

Prima di tutto bisogna capire come rimuovere tutta questa legna, un lavoro che certamente richiederà tempo e risorse. Bisogna poi capire cosa fare di tutto questo materiale, ma questo sarà certamente il minore dei problemi. La domanda più importante, e più preoccupante, sta nel capire come agire sui territori devastati. Cosa fare delle aree di bosco cancellate? Tra le tante idee proposte, molte delle quali volte a rimboschire le valli, ce n’è una decisamente fuori dal coro. Michele Dellapiccola, ex assessore all’agricoltura e al turismo Trentino, ha infatti dichiarato a Il Dolomiti, che si potrebbe pensare di non rimboschire tutto il territorio devastato dal forte vento con l’obiettivo di tornare a un modello di allevamento di stampo alpino. “La superficie boschiva del Trentino sessant’anni fa era molto meno estesa di oggi e negli anni il bosco ha mangiato prati su prati che un tempo erano utilizzati per l’allevamento” ha spiegato Dellapiccola. “La nostra politica, soprattutto negli anni ’80 ha deciso di puntare su un modello di allevamento di tipo industriale simile a quello veneto, con stalle medio grandi e finendo per importare il foraggio”. Un condizione che, spiega l’ex assessore, ha portato all’abbandono degli alpeggi e che, a differenza di quanto accaduto in Alto Adige, ha ridotto drasticamente il numero degli allevatori. 50mila mucche per 1200 proprietari in Trentino; 100mila mucche per 12mila proprietari in Alto Adige dove si è favorito l’allevamento diffuso con piccoli proprietari e utilizzo dei pascoli.

Secondo Dellapiccola quindi, escluse le aree a rischio idrogeologico e quelle dove il legnare rappresenta “un’eccellenza”, bisognerebbe lasciare a prato nuove porzioni di territorio. Cosa che permetterebbe inoltre di accedere ai finanziamenti europei per le attività in montagna.

Lo sviluppo di questo settore, oltre a riportare giovani in montagna, potrebbe portare alla nascita di attività collaterali come gli agriturismi. “Turismo, agricoltura e allevamento in Trentino devono andare a braccetto” solo così, afferma ancora il politico, si potrà puntare a una nuova rinascita della zona duramente colpita dagli ultimi eventi atmosferici.

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2 Commenti

  1. Non ci sono solo mucche degne di essere allevate.Pino mugo, pino cembro, pino larice…sono piante pioniere che crescono su terreni disastrati, li compattano .Oltre che alladiffusion espontanea si potrebbero impiantare in accorto mix.Da esse si ricavano olio , legno profumato , pigne per la grappa, legno per scultura ed artiginato, legno per scandole, trattenimento valanghe ed il solito ciclo ossigeno-anidride carbonica con la fotosintesi.Buttali via!Undubbio..ma tutta la produzione ninnoli ed addobbi in legno che invadera’ le bancarelle dei mercatini, e’ di legno Dolomitico o est-asiatico??

  2. Oh là. Finalmente una persona che ragiona. I boschi hanno ormai occupato spazio che un tempo era prativo. E boschi, nonostante la distruzione, ne sono rimasti anche troppi… ne hanno fatto una tragedia, ma in realtà il bosco avrebbe bisogno di respiro…

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