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Gole dell’Orta, i cartelli non servono – di Stefano Ardito

La notizia che arriva da Pescara, e che è stata pubblicata lunedì su questo sito, merita una riflessione da parte di tutti i frequentatori della montagna. 

Per la dinamica dell’incidente di un anno e mezzo fa, ma anche per la logica, che mi sembra profondamente sbagliata, della richiesta di rinvio a giudizio contro Oremo Di Nino, direttore del Parco Nazionale della Majella, e Simone Angelucci, sindaco di Caramanico Terme.  

Vale la pena ricostruire l’incidente, e spiegare dov’è accaduto. Le rapide dell’Orta sono un luogo famoso e suggestivo, a mezz’ora di cammino dal posteggio. La velocità dell’acqua, insieme alle rocce levigate delle sponde, può trasformarle in una trappola. 

Il 1 maggio 2017 Silvia D’Ercole è scivolata su un lastrone, è caduta nel fiume. Il marito Paride Pirocchi ha cercato di soccorrerla, ed è annegato anche lui. Incidenti di questo tipo nella zona sono già successi in passato. Per questo motivo, il sentierino che scende alla riva del fiume non è stato segnato dal Parco, ed è anzi vietato.   

Molti altri valloni dell’Appennino e delle Alpi, quando il disgelo rende impetuosi i torrenti, diventano pericolosi. Per restare in Abruzzo, la valle delle Cento Cascate e gli altri fossi della Laga, con i loro torrenti che scorrono sull’arenaria levigata, offrono facili escursioni in ambiente magnifico. Anche qui, ogni anno, dei banali scivoloni hanno conseguenze mortali. 

Di fronte alla fine dei due gitanti di Scerni, e al dolore dei loro familiari, ci si deve inchinare in silenzio. Anche il lavoro degli avvocati e dei magistrati di Pescara va trattato con il massimo rispetto. Ma l’iter giudiziario a carico del sindaco di Caramanico e del direttore del Parco lascia perplesso chi conosce la montagna. 

Le statistiche del Soccorso Alpino indicano che molti incidenti gravi si verificano in attività apparentemente banali, come le passeggiate in famiglia, o quelle in cerca di funghi.

Sull’Appennino e sulle Prealpi, gli incidenti gravi aumentano in primavera e in autunno, quando lastre di ghiaccio o ripide lingue di neve interrompono pendii e sentieri che dal basso sembrano in condizioni estive. Anche in estate, su tutte le montagne italiane, molti sentieri comodi che tagliano pendii erbosi o rocciosi possono diventare mortali per chi inciampa.

La richiesta di rinvio a giudizio, avanzata dai legali di parte civile Giuliano Milia, Arnaldo Tascione e Francesco Tascione, accusa il direttore Di Nino e il sindaco Angelucci di non aver segnalato il pericolo, e di non aver vietato l’accesso alla zona. 

Mi sembra un ragionamento sbagliato, intanto perché non si tratta di un sentiero segnato, e chi lo segue può essere sanzionato dal Parco. Prima di raggiungere il fiume, un tratto franoso ed esposto avrebbe dovuto suggerire alle vittime di non affrontarlo con i loro bambini. 

Ma c’è una questione più generale. La natura, anche a pochi minuti dall’auto, non è un giardino pubblico ma qualcosa di profondamente diverso. Chi la frequenta deve sapere che i suoi passi, anche su un sentiero segnato, possono condurre in luoghi pericolosi. Se si decide di allontanarsi dai segnavia, e se si portano con sé dei bambini, l’attenzione dev’essere mille volte maggiore.  

fiume Orta, rapide di Santa Lucia

Se i Parchi, i Comuni o il CAI dovessero mettere un cartello su ogni sentiero potenzialmente pericoloso (perché esposto, scivoloso, minacciato da possibili cadute di pietre…), la montagna diventerebbe una foresta di cartelli. E l’assuefazione degli escursionisti li farebbe diventare irrilevanti. 

Gli avvocati di Pescara, nella loro istanza, scrivono che il Parco e il Comune avrebbero dovuto “inibire l’accesso”. Ma come? Sbarre e recinzioni, oltre a deturpare il paesaggio, sono un invito ad aggirare o a scavalcare. Se esistessero, potrebbero scagionare sindaci e direttori di Parco. Ma non credo che salverebbero vite.   

Sarebbe utile, invece, piazzare all’arrivo di funivie e seggiovie dei cartelli che indicano il punto in cui si esce da luoghi segnalati e piste battute, e ci si inoltra su terreno d’avventura. In Abruzzo, la loro presenza aiuterebbe i sindaci a non imporre divieti di fuoripista spesso inutili. 

In altre zone, in estate e d’inverno, sarebbero utili i “filtri” per dissuadere gli escursionisti inesperti e privi del materiale necessario a inoltrarsi su terreno roccioso o ghiacciato. Lo ha fatto il Soccorso Alpino sulle Grigne, lo si fa sulla via normale francese del Monte Bianco. Sarebbe utile farlo, d’inverno, sulle Apuane o a Campo Imperatore. 

Altrove, l’unica iniziativa veramente utile per evitare gli incidenti è invitare gli escursionisti alla responsabilità, a studiare l’itinerario prima di partire, e di nuovo durante la camminata. La montagna, ancora più della città e delle strade, dev’essere un luogo di attenzione. Dove ognuno si muove sotto la sua responsabilità.  

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