Cronaca

Usciti dal sentiero morirono nel fiume, indagato per omicidio colposo il direttore del Parco della Majella

Nel maggio del 2017 Silvia D’Ercole e Giuseppe Pirocchi perdevano la vita annegando dopo essere scivolati nel fiume Orta, nella zona della Rapide di Santa Lucia, nel Parco Nazionale della Majella.

Marito e moglie erano in gita con i figli ed alcuni famigliari quando si allontanarono dal sentiero principale per scattare delle fotografie. I due scivolarono su delle pietre ricoperte di melma e precipitarono nel fiume dove vennero travolti dalla corrente.

Per questa tragedia il PM di Pescara ha chiesto il rinvio a giudizio del direttore del Parco Nazionale della Majella, Oremo Di Nino, e del Sindaco di Caramanico, Simone Angelucci, per omicidio colposo. La tesi del procuratore, che ha accolto quella della parte civile, è che non ci sia stata imprudenza da parte dei due coniugi, ma la colpa della morte sarebbe da rintracciare in un’omessa segnalazione di pericolo da parte dei due imputati garanti della sicurezza della zona.

In un corposo dossier fotografico“, ha affermato, come riporta il quotidiano locale noixvoi24, l’avvocato di parte civile Arnaldo Tascione “è documentato come la tragedia sarebbe stata evitabile se fossero state prese le dovute precauzioni inibendo l’accesso dei visitatori nell’area a rischio e segnalando il pericolo“.

A gennaio 2019 sarà il gup a decidere se rinviare a giudizio o archiviare le accuse. 

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9 Commenti

  1. Con tutto il rispetto possibile per le vittime e per i loro bambini rimasti orfani,ma come si fa a segnalare tutti punti pericolosi di un area vasta come la Maiella,per giunta fuori i sentieri ufficiali.
    Da frequentatore della montagna in ogni suo aspetto e in ogni stagione,
    non riesco a capire come si è giunti ad un rinvio a giudizio del genere
    da parte di un PM, che forse è completamente ignaro di come sia morfologicamente composta una zona montuosa, dove non è possibile mettere parapetti , reti e fare sentieri sicuri ovunque.

  2. Qualcuno disse che, la Vita è un luogo estremamente pericoloso e dal quale non c’è possibilità alcuna che si possa uscire vivi.
    L’attuale tendenza della giurispudenza, è quella di attribuire ad ogni costo la colpa di ciò che ci succede a qualcun altro, piuttosto che a se stessi. Per esplicita richiesta a maggioranza assoluta della comunità. Come se si volesse affermare il principio, che gli adulti moderni siano degli eterni bambini, incapaci di osservarsi, osservare e valutare il mondo che li circonda. E prendere decisioni appropriate. E caricarsi dei relativi rischi ed auto-responsabilità. Ma forse è proprio ciò che vogliono ottenere i “Disegnatori della Società”. Umani rimbecilliti, tenuti per mano l’intera esistenza, docili, mansueti ed obbedienti come perfetti “servi della gleba”.
    Tra poco sarà vietato uscire di casa perchè intrinsecamente pericoloso. Tipico di totalitarismi d’altri tempi, solo che adesso è la società che lo pretende…

    1. La sua tesi è smentita dai fatti, perchè così come nel 2017 in Italia sono morte in montagna 485 persone, nessun direttore o sindaco è stato imputato.

      La situazione qua è diversa.
      Se si entra in un percorso con dei consigli in ingresso molto blandi (ad esempio, accesso adatto anche ai bambini, non necessaria dotazione di sicurezza), e poi non si segnala dove si trova il pericolo oggettivo (ad esempio, scrivendo di non lasciare il sentiero perchè il pericolo cambierebbe), la colpa è di chi ha affisso il primo cartello all’ingresso.

      Ed è spiegato nell’articolo, che dice che il procuratore ipotizza che non ci sia stata imprudenza.

      Si vedrà, alla fine del processo, se è andata così.

      1. Non c’è stata imprudenza??? cambiamogli definizione, “mancanza di consapevolezza del pericolo”, mi dispiace per i coniugi,
        ma il procuratore è meglio che cambi mestiere, l’avvocato fa il lavoro suo di sanguisuga, con la stessa teoria allora
        tutti i familiari degli alpinisti morti per una scarica di rocce, scivolamento causato da roccia ghiacciata ecc…
        potrebbero far causa all’ente parco e sindaco del territorio montano dove è morto il familiare.

        1. E’ proprio il contrario: con la logica che ho spiegato, i familiari degli alpinisti morti NON possono fare causa ai gestori.
          Infatti non lo fanno.

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