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Torino e quelle indimenticabili Olimpiadi

Dopo la decisione del CONI di escludere Torino dalle città candidate ad ospitare i giochi olimpici invernali del 2026 e dopo il polemico post del sindaco sabaudo Chiara Appendino, abbiamo deciso di andare a ricordare quella che è stata l’esperienza di Torino 2006. Un grande evento internazionale che ha segnato profondamente il capoluogo regionale, le sue montagne e i borghi e di quelle che sono automaticamente diventate le “valli olimpiche”.

Torino 2006 costò circa 3,5 miliardi di euro, di cui 1,4 provenienti dal governo e 600 milioni derivanti da comune e Regione. La restante parte dei costi fu invece coperta da sponsor, diritti televisivi e marketing. Per il grande evento sportivo invernale furono messi in opera cantieri che riguardarono sia la città che si affaccia sulle montagne, che le valli. Torino cambiò volto (completamente), diventò una signorile ed affascinante metropoli con aree pedonali, infrastrutture, trasporti pubblici e tutti i servizi necessari ad ospitare eventi internazionali di questo calibro. “Comodità” di cui poi avrebbero usufruito anche i torinesi. Nelle valli invece successe qualcosa di diverso. A Pragelato vennero realizzati i trampolini olimpici, costati circa 37,3 milioni di euro, con annesso “Jumping hotel” alla base delle strutture; a Cesana fu invece costruita la pista da bob, un tracciato che ha sempre fatto notizia per i ripetuti furti di rame.

Almeno ha fatto notizia, verrebbe da dire, fin quando però è finito anche il prezioso metallo e l’impianto, costato circa 140 milioni è rimasto abbandonato al suo degrado. Abbandonato, nonostante le promesse del CONI che garantiva: Cesana sarebbe diventata il cuore pulsante del bob italiano.

Torniamo però per un attimo in città, a Torino, più precisamente nel Villaggio olimpico. Un grosso parco dai mille colori che al tempo ha ospitato atleti provenienti da ogni parte del mondo ma, che oggi, è meglio non frequentare con il buio. Tra palazzi occupati, spacciatori, vetrate in frantumi, muri vandalizzati, camionette dell’esercito, Polizia e Carabinieri l’aria che si respira in quello che sarebbe dovuto diventare “uno spazio confortevole per il periodo post olimpico che svolga pienamente le sue funzioni sociali di ritrovo e sosta per la cittadinanza” si è trasformato in un luogo dove non si respira affatto un clima olimpionico.

Sarebbe stato bello rivedere tutto questo rinascere in occasione dei giochi del 2026, rivedere in funzione la pista da bob o il trampolino, rivedere gli alberghi costruiti ai piedi delle strutture nuovamente popolati e affollati da atleti ed appassionati. Perché però le valli olimpiche si sono svuotate? Perché le strutture sono rimaste chiuse invece di essere utilizzate per gare ed eventi (quelle che son durate di più sono rimaste attive per circa 2 anni)? A queste domande la risposta è sempre e solo una: costi di gestione troppo alti. Se volessimo però fare una summa di tutto quel che non ha funzionato potremmo mettere insieme la crisi economica del 2009; la mancanza di un vero progetto futuro, la mancanza di una concreta idea “post olimpica”; la scelta di mettere a bando il Parcolimpico, oggi al 90% in mano a privati, senza obbligatorietà di far funzionare le strutture per il salto e per il bob: una manna dal cielo per il privato che così ha potuto investire su quel che effettivamente rendeva tralasciando il resto (La prima gara d’appalto, con obbligatorietà di far funzionare le due strutture almeno 80 giorni l’anno, andò deserta).

Il risultato di tutto questo? La città né ha guadagnato mentre le valli sono state penalizzate. A dirlo sono gli stessi protagonisti, i sindaci di montagna che sono stati coinvolti nell’organizzazione dei giochi. Roberto Serra, sindaco di Cesana dal 1999 al 2009, qualche tempo fa dichiarava a La Stampa: “Se penso che mi sono fatto convincere, mi viene il magone. […] Salirono tutti qui per rassicurarci: Frattini, Pescante, Ghigo, Chiamparino, perfino Alberto di Monaco. Accettammo. Sbagliammo” ricorda l’ex sindaco ripensando al giorno in cui acconsentì alla costruzione della pista da bob.

Un’olimpiade dovrebbe essere anche un momento di promozione del territorio, la realizzazione e celebrazione di un evento in grado di lasciare qualcosa di buono alle genti del posto. Se mai ci sarà una futura occasione per Torino, per la città dalla “candidatura meno costosa, più sostenibile e naturale per l’Italia” speriamo che il progetto olimpico sia solo punto di partenza per dare un vero futuro alle terre alte. Come disse Marco Sampietro, ministro delle Finanze del comitato organizzatore di Torino 2006, “qualcosa è andato storto anche da noi […] ma a prescindere da come vengono organizzate, le Olimpiadi non sono mai il modo migliore per spendere denaro pubblico”.

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Un commento

  1. Di quelle olimpiadi di Torino, oltre alle spendide vittorei azzurre, ricordo la Ministra Melandri neo nominata allo sport epolitiche giovanili., che appareve a cerimonie varie, mentre altri tornarono in seconda fila.Che nemesi.
    Secondo me di varie gare di varie specialita’ invernali, ormai non manca niente: gare classiche, coppa del mondo dispecialita’ , campionati del mondo….ormai ogni localita’ e’ attrezzata per certi sport, basta dare il giro alle squadre giornalistichein trasferta, costa di meno e gli sponsor arrivano ugualmente. abolendo le Olimpiadi Si toglie il palcoscenico alle cerimonie di inaugurazione e finale ai politici,o managers
    sponsorizzatori, che hanno sempre l’aria di dire “Guardate cosa vi regaliano i Gran mecenati”.
    Invece son soldi di cittadini pelati dalle tasse o recuperati con gli interessi nelle vendite di attrezature e abbigliamento, macchinari, resort, paccheti vacanza..Griano certe immagini di Sochi, appena terminate le olimpiadi, dirapidodeteriormentodi alcuni lavori.

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