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Nuovi studi sulle naturali doti di adattamento degli sherpa alle alte quote

Nuovi studi vengono ad oggi portati avanti dal Centro di ricerca per la medicina d’altitudine, dello spazio e degli ambienti estremi dell’ University College London, circa la capacità degli sherpa di adattarsi alle alte quote. Ad interessare gli esperti è in particolare la loro facoltà di operare efficacemente anche ad altitudini dove il contenuto di ossigeno nell’aria è molto basso. Mentre è appurato il fatto che sia un tratto adattivo sviluppato nei secoli, ciò che ha sempre lasciato perplessi gli studiosi è che il loro organismo, una volta portato in quota, non risponde come quello del resto degli esseri umani, ovvero producendo più molecole per il trasporto dell’ossigeno nel sangue (emoglobine).

Per chiarire questo fenomeno, i ricercatori londinesi hanno analizzato i dati raccolti durante Xtreme Everest 2. Si tratta di un esperimento, portato avanti nelle scorse stagioni alpinistiche, che ha coinvolto due gruppi di alpinisti, uno interamente composto da sherpa e l’altro da persone native di territori a bassa quota. Misurazioni dei livelli di ossigeno ed emoglobine nel sangue sono state effettuate per entrambi i gruppi a valle e poi al campo base dell’Everest, a circa 5.300 m di altitudine.

I risultati delle analisi condotte su tutti i campioni di partecipanti hanno rivelato che gli sherpa, in un ambiente nel quale l’aria è meno ricca di ossigeno, tendono ad incrementare il flusso sanguigno. Questo consente loro di godere di una miglior distribuzione di O2 ai tessuti, senza la necessità di produrre più emoglobine e quindi risentendo molto meno delle condizioni ambientali. Gli studiosi dell’UCL stanno ora cercando di capire se è possibile indurre una simile reazione nel fisico umano. Se così fosse, la risposta fisiologica vincente degli sherpa potrebbe essere usata in futuro per aiutare pazienti afflitti da patologie legate alla circolazione dell’ossigeno nel sangue.

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