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Salewa: a Bolzano l’integrazione si coltiva nell’orto

Un orto di tremila metri quadri, quindici ragazzi richiedenti asilo provenienti da Togo, Burkina Faso, Nigeria, Guinea e Bangladesh, un’azienda leader del settore outdoor e la voglia di spendersi per gli altri. È così che da un anno e qualche mese, a Bolzano, l’integrazione si coltiva nell’orto. Nell’orto Salewa dove un piccolo gruppo di migranti ha trovato impiego e speranza per il futuro. Attraverso il lavoro ci si guadagna la dignità della vita. Qui se la guadagnano con pomodori, zucchine, insalata e altri ortaggi bio e a chilometro zero.

Andiamo però a scoprire questa realtà attraverso le parole di Stephanie Völser, Executive Assistant del Presidente del gruppo Salewa-Oberalp Heiner Oberrauch e responsabile del progetto d’integrazione.

Stephanie cosa l’ha spinta a portare avanti quest’iniziativa?

È iniziato tutto qualche anno fa quando, nel tempo libero dal lavoro, ho iniziato a dare lezioni di italiano ai ragazzi migranti. Lo facevo nel tempo libero, il sabato, quindi le ore erano limitate. Con il passare del tempo però, i ragazzi hanno iniziato a chiedermi se ci si poteva vedere più spesso, se si potevano fissare due appuntamenti a settimana. In quel momento ho capito che sì avevano voglia di imparare l’italiano, ma soprattutto avevano bisogno di avere degli impegni, di trovare un modo per riempire il tempo vuoto che si veniva a creare non avendo un lavoro e, più in generale, nulla da fare. Avevano bisogno di sentirsi utili in qualche modo per dare un senso alle loro giornate. Io stessa credo che sarei caduta in depressione a trovarmi in una situazione simile, questi ragazzi però hanno una positività sorprendente.

A fianco di quest’esigenza di cui mi ero resa conto c’è poi stata la grande apertura da parte del signor Oberrauch che ha accolto, in casa sua, una coppia nigeriana con due gemellini.

Cos’avete dovuto fare per mettere in pratica la vostra idea di integrazione?

È stato difficile, soprattutto all’inizio perché non avevamo mai portato avanti un così grande progetto di integrazione, con così tante persone coinvolte.

Una volta partiti però il progetto è andato avanti senza problemi, anzi. Appena sono uscite le prime notizie abbiamo ricevuto un sacco di contatti e poi partner che han voluto donarci le piantine e altri che ci han portato gli attrezzi. Si è spontaneamente creata una rete di solidarietà che ha dato forza e ci ha spinti ad andare oltre migliorando il progetto.

In poco tempo siamo anche riusciti a trovare un partner per risolvere le questioni burocratiche legate alla vendita degli ortaggi. Noi infatti non possiamo vendere i prodotti perché non siamo un’azienda alimentare, per questo abbiamo scelto di lavorare a stretto contatto con una cooperativa sociale di cui i ragazzi sono soci.

Com’è stato accolto il progetto dalla popolazione?

Direi molto bene, ed è anche per questo che abbiamo deciso di ampliarlo.

Da quest’anno l’orto è aperto ai visitatori due volte a settimana. Chi vuole può venire, entrare e passeggiare nell’orto, parlare con i ragazzi, conoscerli, avere un contatto con loro. Spesso fuori, in paese, è difficile scambiare due chiacchiere con loro, conoscerli, qui è tutto più facile.

Sono tanti quelli che han letto dell’iniziativa decidendo di venirci a trovare, non solo per comprare verdure biologica e a chilometro zero, ma anche per confrontarsi e conoscere.

Invece, i ragazzi sono contenti di questo “lavoro”?

La cosa più importante per loro è avere un lavoro, anche se quello che gli abbiamo offerto noi non si può considerare un impiego vero e proprio: si tratta di 4 ore a settimana. Però vengono volentieri e vedono nell’orto un’opportunità per il futuro oltre che un modo per passare il tempo.

La cosa bella è che qui, in poco tempo, riesci a portarti a casa un obiettivo. Riesci a raccogliere i frutti del tuo lavoro. In più abbiamo provato a scegliere persone che nel loro Paese d’origine svolgevano lavori simili. Abbiamo infatti muratori, idraulici o contadini. Persone abituate ai lavori della campagna, anche se molte delle nostre verdure non le hanno mai viste perché da loro non crescono. (ride)

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