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I gestori dei rifugi lanciano l’allarme: stop all’alpinismo “mordi e fuggi” che causa incidenti

La stagione dei rifugi è iniziata, con una ventina di giorni d’anticipo, come accade da qualche anno. Da un po’ di tempo si è consolidato un modo di andare in montagna che crea una certa allerta, come segnala la SAT che in questi giorni ha raccolto le preoccupazioni soprattutto dei gestori dei rifugi alpinistici, quelli che rappresentano il punto di partenza per le scalate. La richiesta, partita da alcuni tra i più noti rifugi nell’area dolomitica occidentale – Cima d’Asta, Segantini, Denza, Carè Alto -, ma anche da altri del Trentino orientale, è quella di sollevare e discutere del problema dell’escursionismo ed alpinismo “mordi e fuggi”. Ossia la tendenza degli ultimi anni di affrontare arrampicate ed escursioni impegnative nell’arco di una sola giornata.

 “Si credono tutti degli highlander: – sostiene qualcuno – arrivano dalle metropoli della pianura dopo un viaggio di due o tre ore, parcheggiano e poi via sulla salita che porta all’attacco della cima, o su un attraversamento impegnativo. Peccato che spesso il sole è già alto e si arriva in parete, o in quota, con molto ritardo”. “Questo fa si che quando si deve affrontare la discesa si è ormai esausti – sottolinea qualche altro gestore – e la percentuale di incidenti dovuti appunto a stanchezza, mancanza di concentrazione e fretta per tornare casa, sta aumentando considerevolmente”.

I gestori sono quasi tutti Guide Alpine, o uomini del Soccorso Alpino, persone che hanno visto numerose situazioni critiche e che accolgono generazioni di alpinisti/escursionisti.

Fino a qualche anno fa, infatti, chi voleva affrontare percorsi impegnativi saliva nel primo pomeriggio al rifugio, dove avviene una fase notturna di acclimatamento, si svegliava con meno dislivello nelle gambe e il ritmo cardiaco stabilizzato. Una modalità di andare in montagna che fa parte di un bagaglio culturale che si è perso, ma che andrebbe ripreso e riproposto con convinzione.

Per i gestori che sistemano i sentieri di accesso ai rifugi e quelli di attacco alle cime con giornate intere di fatica e che sono sempre all’erta per intercettare gruppetti di escursionisti o cordate in caso di bisogno, quando succedono incidenti a causa della stanchezza, o dell’orario sconsigliato per l’ascensione, è sempre una sconfitta. “Perché – dichiarano – non sono certo i 15 euro del pernottamento a fare la differenza sul budget di una gita, quanto piuttosto la presunzione, la smania di dimostrare a sé stessi che tutto si può fare in un giorno”. “I cambiamenti climatici regalano temperature miti anche in tarda serata, ma occorre sapere che la concentrazione quando si hanno nelle gambe dislivelli importanti e qualche ora di macchina, crolla fisiologicamente e questo è molto pericoloso, basta una mano, o un piede in fallo, o su un sasso che si muove ed è tragedia” ricordano.

L’appello, accorato, è dunque quello di tornare ad una cultura alpinistica che diffonda una frequentazione più consona all’ambiente di montagna. Le regole per prevenire gli incidenti non riguardano solo la richiesta di informazioni o il fatto di essere adeguatamente equipaggiati, ma riguardano anche il fatto che se le vite degli uomini sono cambiate, le montagne sono immote da millenni e che “se in circa 150 anni la montagna è stata scoperta, frequentata e salita grazie ad una serie di comportamenti adeguati all’ambiente naturale che le caratterizza, non è bruciando le tappe che si realizza un record, o una impresa”.

Utilizzare il rifugio alpinistico come deve essere utilizzato significa entrare in sintonia con un ambiente che può regalare, non solo una giornata di emozioni, ma un utile arricchimento personale di convivialità, di scambio e di informazioni, senza le quali all’ escursione, facile o difficile che sia, manca sempre qualcosa.

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