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Troppi morti per un ponte festivo, 4 italiani

Sono 11 le persone morte in montagna in queste “maledette” giornate di ponte del primo maggio. Quattro gli italiani: una guida alpina di grande esperienza e capacità, Mario Castiglioni di 59 anni, ed i bolzanini Marcello Alberti 53enne con la moglie Gabriella Bernardi di 52 anni ed Elisabetta Paolucci di 44 anni. Del gruppo, questa mattina uno dei feriti è deceduto all’ospedale. 

Castiglioni quando i cumuli si sono addensati sul ghiacciaio azzerando la visività si era trovato dietro, insieme i suoi clienti, un gruppo di 13 persone che stava provando a realizzare il sogno dello scialpinista forte e felice: la traversata da Chamonix a Zermatt. Mentre tentavano di raggiungere il rifugio Des Vignettes, poco sotto le Pigne d’Arolla, verso quota 3800m, Castiglioni, che stava pensando di mettere in sicurezza il gruppo, ha avuto un incidente cadendo in “un buco”, un crepaccio, questa la ricostruzione. A questo punto gli scialpinisti che lo seguivano si sono “impancati” e, anziché fermarsi e aspettare, hanno vagato in cerca della salvezza e del rifugio, trovandosi esposti al signor inverno che quest’anno non se n’è ancora andato e che, alleandosi con l’instabilità tutta primaverile e alla nebbia, ha dato un colpo di coda alzando un’improvvisa, ma prevista tempesta e abbassando violentemente le temperature. Ed è stata la tragedia: “Li abbiamo trovati su una cresta, uno era morto, gli altri in stato di ipotermia grave”, dice alla tv uno dei soccorritori.

L’efficienza dei soccorsi non ha potuto attenuare ulteriormente il tragico bilancio, ma è difficile pensare come tutto questo possa accadere a inizio maggio a 14 persone, tutte insieme, sulle Alpi.

Le domande sono molte, la prima, che rischia di essere irriguardosa per le vittime, ma che bisogna porsi è perché, vista la condizione meteorologica sempre più estrema della montagna, non si sia deciso di fermarsi prima: forse Castiglioni sperava in una schiarita o nel suo GPS e in quello degli altri, che in una “gita” come questa è diventato strumento indispensabile a patto di avere la traccia registrata e saperlo usare alla perfezione. Scendere portandosi in zona di maggiore sicurezza, sembrava una soluzione, ma poi dopo l’incidente a Castiglioni perché non ripararsi insieme, scavando una buca nella neve, c’è n’è ancor molta e la pala è nello zaino di ogni buon scialpinista; se la nebbia ti impedisce l’orientamento è vecchia regola fermarsi e aspettare che si alzi; 14 persone formano una massa calorica importante e possono resistere in un riparo nella neve. E poi la regola diffusa dello scialpinista moderno del vestirsi con tutine di calzamaglia e tenere gli zaini il più leggeri possibile, quindi riducendo l’abbigliamento al minimo peso e alla minima protezione, anche per escursioni come questa di più giorni in quota, ha certamente contribuito alla tragedia.

Morire di freddo sulle Alpi tra aprile e maggio non è “normale”. Ma la “maledetta giornata” non era terminata e due ragazzi di 21 e 22 anni sono morti assiderati sul monte Monch, sulle Alpi Bernesi, attorno ai 4000m e i corpi sono stati recuperati dal soccorso della regione.

E ancora tra Monte Bianco e Monte Rosa due francesi sono morti, uno di freddo per il maltempo, l’altro sotto una valanga. E per finire la morte della turista russa, partita dopo due giorni di sosta dalla Capanna Margherita con scarponcini da trekking e ciaspole, per raggiungere Zermatt. Dice Michele Cucchi, gran guida e soccorritore di Alagna: “L’abbiamo trovata alle 9, riversa nella neve, verso il Colle del Lys, non c’entrava nulla con quell’ambiente e situazione d’alta quota”.

Forse varrà la pena riflettere su queste tragedie meteo/climatiche, ragionando non tanto sui “climate change”, quanto sulla capacità umana alla rinuncia, al tornare indietro e forse anche a qualche inadeguatezza dal punto di vista dell’esperienza tecnica individuale vissuta sulla montagna.

11 morti così, per sport e passione, sono veramente troppi.

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