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Il riscaldamento climatico minaccia gli yak dell’Himalaya, abituati a vivere fino a – 40°

Gli yak – ancora di salvezza dei pastori nomadi d’alta quota della regione himalayana indiana e tibetana – devono ora fare i conti con la minaccia dell’aumento globale delle temperature. La tendenza che vede la temperatura aumentare anche alle alte altitudini sta infatti causando disturbi da stress da calore negli yak, soprattutto durante i mesi più caldi dell’anno.

Questo fattore, a sua volta, incide in maniera significativa sui ritmi fisiologici dell’animale. Gli studi hanno infatti dimostrato che la temperatura ambientale media nella regione è aumentata dell’1,5 per cento negli ultimi 25 anni, con una progressione annua di 0,06 gradi. Gli yak sono invece al contrario abituati a temperature molto rigide. Possono infatti sopravvivere fino a meno 40 gradi, mentre iniziano ad avere difficoltà quando la temperatura supera i 13 gradi.

Un pastore nomade con gli yak. Foto @ Deposphoto

«Gli yak conservano efficientemente il calore del corpo durante l’esposizione al clima gelido, e questo comportamento è dovuto ad uno speciale metabolismo che non consuma energia, in modo da non dissipare calore attraverso la sudorazione. Questo però di conseguenza rende lo yak più sensibile allo stress da calore», ha spiegato il dott. Vijay Paul, ricercatore presso l’ICAR-National Research Center on Yak (NRCY) del Dirang, India.  

Gli yak modificano la propria respirazione non solo in risposta a un mutevole bisogno di ossigeno ma per regolare la temperatura corporea. Pertanto, l’aumento della respirazione agisce come un predittore dello stress da calore, insieme ad altri sintomi come l’ansimare, l’assunzione ridotta di mangime e un maggiore consumo di acqua. I nomadi hanno nel tempo avuto modo di notare sempre più spesso questi comportamenti, e come risposta hanno iniziato a mettere in pratica azioni che vanno a contrastare l’insorgenza dello stress da calore.

La popolazione totale di yak nei sei stati della regione himalayana indiana è stimata in oltre 76.000 capi. A livello globale è invece la Cina, e principalmente il Tibet, a detenere il maggior numero di yak. «L’allevamento di yak è un mezzo di sostentamento eco-compatibile per i nomadi che migrano verso le altitudini più elevate durante l’estate e ritornano alle quote più basse – a circa 3000 metri sul livello del mare – durante gli inverni».

«Ciò garantisce che i loro animali rimangano alla stessa temperatura ambiente per tutto l’anno, minimizzando così lo stress da calore. Ma questa impostazione dell’allevamento tradizionale – basata sulla transumanza – viene ora messa a rischio dal cambiamento climatico», ha osservato il dott. Paul. Oltre allo stress da calore negli animali, la temperatura in aumento influenza anche la crescita e la disponibilità di foraggi dei pascoli alpini. Questo, a sua volta, riduce la produttività degli animali.

Foto @ Sangye

Gli yak forniscono infatti latte, fibre e carne ai nomadi, e la produzione di latte dipende direttamente dalla quantità e dalla qualità del foraggio nei pascoli. Inoltre, i lunghi peli di yak hanno proprietà resistenti all’acqua e possono essere utilizzati come un buon materiale da imballaggio. Per esempio, i nomadi si servono dei peli di yak per tessere il materiale per creare le tende. Oltre ai fattori legati al clima, vi è però una riduzione delle aree dedicate al pascolo e si assiste al degrado delle zone naturali. Due effetti dovuti al costante ed incotrollato sviluppo delle attività umane nella regione.

Secondo il dott. Paul: «Vi è una proliferazione di capi ibridi yak-bovini ed una diversificazione delle mandrie. L’allevamento dei yak deve invece essere preservato, poiché questa è l’unica fonte di sostentamento per i nomadi. E ciò può essere fatto solo dando nuova vita ai pascoli degradati e migliorando le pratiche sanitarie, per esempio distribuendo integratori alimentari per gli yak».

Al momento però in India niente di tutto questo è stato ancora fatto. Vi è infatti un piano di azione già previsto, ma i fondi per la sua implementazione non sono mai arrivati.

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