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Gran Zebrù, morta anche la ragazza. Confortola: io sono tornato indietro, non c’erano le condizioni

Non ce l’ha fatta la ragazza travolta dalla valanga ieri sul Gran Zebrù e portata all’ospedale di Trento in condizioni gravissime. Il bilancio di questa tragedia sale a tre vittime.

Secondo quanto riferiscono i soccorritori, i tre escursionisti avrebbero provocato loro stessi la valanga che li ha travolti. Come spiega Olaf Reinstadler, capo del soccorso alpino di Solda, il pericolo valanghe era concentrato “soprattutto nella zona del Gran Zebrù, dove ieri mattina tirava un forte vento che aveva già soffiato nei giorni scorsi. Diciamo che la situazione era al limite per affrontare una escursione”.

A confermarci questa situazione anche Marco Confortola, che ieri mattina si trovata sulla montagna per allenarsi in vista della prossima spedizione himalayana in primavera.

“Salendo verso il Gran Zebrù ho visto dei distacchi naturali, però ho voluto proseguire almeno fino in cima al canale, il Col di Bottiglia. Non ho visto nessuno sulla montagna, ma solo una traccia avanti a me; c’era però vento forte ed era un po’ sbavata, non si capiva se fosse nuova o dei giorni precedenti. Quando ho raggiunto la cima del Collo di Bottiglia ho guardato dietro la spalla e ho deciso di tornare indietro perché non c’erano le condizioni: vento forte e accumuli, inoltre i distacchi che avevo visto sotto facevano capire che c’era qualcosa che non funzionava. La sera avevo letto il bollettino nivometeorologico dell’ARPA”. Racconta Confortola, che continua il su racconto: “Mentre stavo sistemando le mie cose per scendere, ho visto che c’era stato un distacco sulla spalla, ma ho pensato che fosse naturale come quelli in salita. Nel frattempo è arrivato l’elicottero dell’Aiut Alpin, che si è fermato a 10 metri; gli ho fatto segno che non avevo bisogno di aiuto ed allora sono andati via. Ho così chiamato la centrale operativa del 112 di Bolzano per avvertire che ero sul Gran Zebrù, a 3400 metri, e che io non avevo visto nessuno. Nel frattempo è arrivato anche il Pelikan di Bolzano a lavorare alla base della parete. Sono sceso al Rifugio Forni e lì mi sono reso conto del disastro”.

L’ennesima tragedia, che richiama ancora una volta alla necessità di fare un appello alla prudenza, a seguire almeno le regole minime di sicurezza prima di intraprendere una gita.

Bisogna imparare a seguire certe semplici regole e a leggere i bollettini, è importantissimo. Se no poi si piange. Il bollettino che fa l’ARPA è fondamentale: dice che c’è pericolo c’è e anche su che gradi e pendenze, bisogna imparare a leggerlo. Ogni giorno è compilato da dei professionisti che escono sulla montagna e vanno ad analizzare il manto nevoso”.

I bollettini, ma anche imparare ad ascoltare i consigli delle Guide Alpine e dei rifugisti. “Questi ragazzi qui erano partiti dal Rifugio Casati ed il rifugista gli aveva detto di non andare al Gran Zebrù, che non era tracciato, che erano giorni che tirava vento, che bisognava stare attenti” ci dice Marco, che conclude: “Inoltre, se le cose non funzionano, bisogna tornare a casa. Sugli 8000, ma anche sul Gran Zebrù, che rimane lì ad aspettarci. Bisogna continuare a vivere”.

 

Il video pubblicato da Marco Confortola prima di apprendere dell’incidente: 

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