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Simone Moro: «Pik Pobeda più difficile di GII e Shisha Pangma»

É un Simone Moro a tutto campo quello che emerge dall’intervista rilasciata a Desnivel. Un’intervista che parte dall’ultima spedizione invernale di Moro e Tamara Lunger al Pik Pobeda (3003 m) e che tocca anche molti aspetti riguardanti le spedizioni invernali di quest’anno in Karakorum e Himalaya.

Ciò che ne esce è un’interessante tratteggio delle esperienze passate e dei piani futuri dell’alpinista bergamasco.

Moro e Lunger in vetta al Pik Pobeda. Foto @ Facebook Lunger – Matteo Zanga

Moro ha voluto innanzitutto sgombrare il campo dalle descrizioni incomplete che hanno accompagnato il suo ritorno dalla Siberia: «Alcuni potrebbero pensare che siamo stati in vacanza a camminare nel romantico freddo, ma questa ascesa è stata più difficile di molti ottomila che ho scalato».

L’ascesa al Pik Pobeda la descrive come «tecnicamente più difficile del Gasherbrum II o dello Shisha Pangma» dato che i due alpinisti hanno dovuto affrontare «sezioni di misto senza però riuscire a farlo in totale sicurezza. Eravamo senza corde, dato che in caso di caduta nessuno dei due sarebbe riuscito a fermare l’altro».  Il tempo che stringeva ed il freddo incombente hanno fatto propendere i due per la scelta di una scalata veloce, affinché il tutto potesse essere affrontato in giornata.

Un particolare positivo ha reso però la scalata diversa da quelle affrontate dal bergamasco sugli 8000, e cioè che «sugli ottomila non puoi andare così veloce a causa della relativa mancanza d’ossigeno e quindi il tuo corpo non produce calore, cosa che invece accade in Siberia».

La rivista spagnola ha poi concentrato le domande sulla spedizione invernale polacca al K2. Il bergamasco si è detto dispiaciuto del mancato raggiungimento della vetta e ha auspicato che siano i polacchi a chiudere il cerchio, ribadendo che lui non prenderà parte ai prossimi tentativi: «L’anno prossimo sono sicuro saranno almeno un paio le spedizioni che ci proveranno. A me, come ho già detto, piacerebbe, ma non lo farò. La mia idea è vedere chi riesce nell’impresa».

Sulla polemica nata attorno alla teoria di Denis Urubko sulla fine dell’inverno, Moro non ha dubbi:

«È una mancanza di rispetto per la storia dell’alpinismo. Le regole si possono cambiare, ma non nel bel mezzo della partita, quando manca un solo obiettivo al completamento delle invernali agli 8000. Maciej Berbeka è morto sul Broad Peak per raggiungerlo a inizio marzo, seguendo ed obbedendo ad una regola chiara e con lui altri quattro alpinisti sono morti per raggiungere gli ottomila entro il 21 marzo. Cosa facciamo adesso? Annulliamo tutto?»

Sul perché di questa posizione tenuta da Denis, Moro spera «non sia una strategia per annullare due degli ottomila che sono già stati conquistati, così da poter avere la possibilità di raggiungerne quattro. Ma se anche fosse, questa teoria non vincerà. Credo che nessuno la prenderà in considerazione, d’altronde già Messner si è espresso contro la fine della stagione invernale al 28 febbraio».

Moro ha chiuso la questione tracciando un paragone calcistico: «Messi, anche se è una star, non può dire che le partite di calcio durino 200 minuti invece di 90».

Pur non sbilanciandosi sulle spedizioni future, Moro ha rivelato di pensare ad una prossima spedizione in Himalaya, anche se al momento – dato che ha in programma parecchie iniziative a cui partecipare tra aprile e maggio e la scrittura del libro sulla Siberia – non ha ancora individuato nessun obiettivo specifico.

Rispondendo alle domande sulla spedizione di Alex Txikon all’Everest, il bergamasco ha sottolineato che «l’Everest senza ossigeno è un progetto che mi interessa molto, ma preferisco uno stile diverso a quello messo in campo da Txikon, lo stile classico non mi motiva ed è una strategia che non paga. Mi sembra che la cosa migliore da fare sia acclimatarsi su un’altra alta montagna, raggiungere il campo base e poi salire».

Sull’Everest a Simone piacerebbe «fare la parete nord, una nuova strada, una variante. Ho delle idee in merito».

La risposta fornita per i fatti che hanno visto coinvolti Elisabeth Revol e Tomek Mackiewicz è invece stata: «Ero in Siberia e lì le notizie arrivano in modo frammentato e molto tardi».

Moro ha sottolineato però come «a 7.300 metri si sarebbe potuto tentare un salvataggio longline, ma questo si può fare senza vento e non col buio». Di una cosa è sicuro: «In Nepal esiste un sistema di salvataggio molto più specializzato che in Pakistan, dove tutto è nelle mani dei militari. Sono dei buoni piloti ma hanno un allenamento diverso, fondamentalmente sono allenati per fare la guerra».

Una situazione che Simone sta tentando di sbloccare: «Nelle ultime settimane diverse persone mi hanno contattato perché sono stanchi della situazione dei salvataggi pakistana. Sto parlando con persone di alto livello per vedere se qualcosa può essere fatto. Il problema è che il Karakorum è una zona di guerra e in teoria nessun pilota civile può sorvolare tali luoghi, è necessaria un’enorme burocrazia».

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