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Giorgio Daidola, alla ricerca della curva perfetta

Quest’ultimo libro, Sciatori di Montagna (Mulatero Editore), è la ricerca delle radici del mio ‘ski spirit’. Un viaggio nel passato alla ricerca di chi ha influenzato la mia ricerca di una curva perfetta” racconta Giorgio Daidola nome dello sci che non necessita certo di presentazioni.

Oggi sei stato a tracciare curve sopra casa?

Quest’anno sono riuscito a partire solo due volte da casa. Normalmente prendo la macchina e seguo una strada secondaria che mi porta su, dove riesco a mettere le pelli e ad andare. Ci sono molti itinerari qui nelle valli.

Cosa significa sciare oltre le piste?

Significa tutto, significa sciare. Il piacere dello sci sta proprio nel lasciare una traccia. Quella ideale è nella neve polverosa, ma è bello anche in primavera quando si lascia una labile traccia sul manto nevoso. È una sensazione bellissima. C’è da dire però che noi sciatori siamo tutti narcisisti e quando sciamo ci voltiamo indietro a vedere la traccia, la curva. La osserviamo e la valutiamo per capire se è bella o meno.

In pista è bello se fai gare, altrimenti no. Io, quando devo attraversare una pista, ho la pelle d’oca. Ho paura di prendere velocità, di essere investito. La pista è più pericolosa che il fuoripista. In più c’è da dire che oggi pista significa neve artificiale. Una neve molto più dura che consente migliaia di passaggi. La neve naturale di un tempo non lo permetteva. Anche il rumore è diverso su quella neve, il rumore degli sci cambia del tutto da naturale ad artificiale.

Quando hai fatto le prime curve?

Ho cominciato a sciare che non avevo ancora tre anni. Seguendo i genitori ho imparato a fare le prime discese, all’epoca si andava fuori pista. Un modo di intendere lo sci che mi avrebbe affascinato per tutta la vita.

Ho fatto anche tanta pista nella mia vita, ho dovuto farla per diventare maestro di sci. Però erano ancora le piste di neve naturale. Quella artificiale già esisteva, ma la sua funzione era limitata ad omogeneizzare i tratti più ripidi o quelli in cui il sole batteva di più. Solo dopo è diventata una vera e propria alternativa alla neve naturale.

Oggi addirittura alcuni grossi impianti sembrano odiare la neve naturale. Ne vogliono un po’ per imbiancare l’ambiente, una decina di centimetri per dare l’idea di inverno, ma sulle piste vogliono la neve artificiale. Una neve che ha dei costi esorbitanti: quasi il quaranta percento del costo del biglietto. L’artificiale è una sommatoria di acqua, elettricità e battitura continua della pista.

Ci parli della tua grande passione per il telemark?

L’ho scoperto grazie a mio padre, grazie alle sue vecchie foto in cui sciava telemark. Erano gli anni venti e c’era la grande discussione tra telemark e talloni bloccati. Una diatriba che alla fine si è conclusa con la vittoria del tallone bloccato grazie allo sviluppo di attacchi per sci molto più pratici.

Io ho deciso di cimentarmi nel telemark quando mi sono stufato dello sci alpino che, negli anni ’80, aveva raggiunto un livello elevatissimo sia come tecnica che come attrezzo. Sciare così mi sembrava troppo facile (ride).

Cos’hai fatto allora?

Ho studiato le foto e poi sono andato a nascondermi in un posto in cui nessuno potesse vedermi (ride).

La cosa veramente difficile è stata reperire i materiali. Le ditte produttrici erano italiane, ma esportavano tutto all’estero, principalmente negli Stati Uniti, dov’è stato riscoperto il telemark. L’ho scoperto grazie al lavoro con le riviste. I miei collaboratori esteri mandavano notizie e foto dagli USA di questi ragazzi che sciavano a talloni liberi.

Io ho quindi seguito la strada aperta dagli americani e, sempre grazie a loro, mi sono migliorato senza più fermarmi tant’è che ancora oggi scio telemark.

Una tecnica per tutti…

Si, va bene sia per i bambini che per gli anziani. È forse il modo migliore per imparare a sciare, è naturale, è un passo in curva. Si adatta anche a quelli bravi perché è il modo migliore per vivere il freeride e oggi sto scoprendo la sua adattabilità anche alla tarda età. È una tecnica che si adegua ai ritmi e ti permette di andare come preferisci, di fare curve più veloci o più lente. Con il telemark sei più inserito nell’ambiente, sei meno aggressivo, più delicato. È quasi una magia la prima volta in cui provi: sposti il ginocchio in avanti e vedi che lo sci gira, è qualcosa di istintivo. È come il fanale di una motocicletta.

Per rimanere attuali e sul fuoripista, cosa pensi dell’eliski?

Che domanda brutta (ride). Ne penso molto male perché è un modo di vivere lo sci che può dare soddisfazioni in discesa. Un entusiasmo ludico che però manca dalla componente montagna. Fare eliski è come sciare in mezzo ad una risaia, manca tutto.

È un’attività frenetica, non arrivi in vetta godendoti la salita, la cima, l’aria. È un’attività così angosciante con quest’elicottero. Lo dico perché ho peccato. L’ho fatto anche io con i miei amici canadesi, gli stessi che mi hanno introdotto al telemark. Avevano contatti con vari gruppi che facevano eliski e mi han proposto di andare con loro, era tutto gratis e ne ho approfittato.

Rimane però uno sport che proprio non riesco a capire, che non mi affascina, che credo sia da abolire. Potrebbe ancora essere ammissibile in alcuno zone, diciamo che è perdonabile prendere un elicottero per fare una traversata delle Montagne Rocciose dove servono giorni di marcia prima di raggiungere il posto in cui mettere gli sci. Sulle Alpi però dovrebbe essere totalmente abolito. Abbiamo bellissime discese dove non è più possibile andare a causa di quel continuo rombare di elicotteri.

Hai trovato la tua curva perfetta?

No, la sto ancora cercando. La devi approcciare, ti ci avvicini, ma forse non la farai mai. Credo che bisogna sempre aspirare a qualcosa nella vita e la curva perfetta è uno stimolo per continuare a sciare.

Quest’anno faccio 75 anni e a quest’età, con la vecchiaia, la fatica la senti. Per non sentirla devi avere una grande passione, una grande voglia di esprimerti.

Com’è fatta una curva perfetta?

È una curva lenta. Non può essere veloce una curva perfetta. Si può quindi dire che si adatta alla vecchiaia. Sicuramente non deve essere fatta in pista. In pista puoi fare una curva ben condotta. La curva perfetta è una cosa mentale, che si riallaccia ad uno stato d’animo.

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Un commento

  1. e bravo Daidolla.. leggevamo le sue relazioni e prime guide di ski – alp con meravigliosa curiosità un sinonimo d’avventura e relazioni ben fatte.. La Rivista della Montagna.. ehhh.. allora era sempre una scoperta e che precisione..lo ricordo accanto alle relazioni di altri a un Brevini.. che me lo ricordo accompagnare sul Grignone il celebre Avv. Quaglia.. che saliva solo con una gamba.. l’altra non l’aveva.. che tempi…come Mellano.. ed altri–l’allora CAI UGET di Torino.. Argentero.. Anne Lise Rochat e via discorrendo è un bene saperlo ancora in azione.. e perchè no a un Vittorio Neri….e il Mucchio Selvaggio…

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