AlpinismoStoria dell'alpinismo

Doug Scott: oltre gli 8000 la "come alive zone"

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BRESSANONE, Bolzano — “Dicono che oltre gli 8000 metri c’è la zona della morte. Non è vero. E’ la “come alive zone”, dove diventi e ti senti vivo. Sei in un’altra dimensione, solo tu e la montagna, e tutto quello che devi fare è sopravvivere. E’ vita pura”. Ha lo sguardo vivo e determinato Doug Scott, dietro le rughe e gli occhiali. Lo sguardo ancora puntato lassù, dove ha oltrepassato i limiti, dove ha vinto battaglie spaventose, come scendere dall’Ogre con le gambe spezzate. Dove ha conosciuto intuito e premonizioni, e dove ha toccato l’apice della sua vita. E’ la videointervista ad un mito quella che oggi vi regala Montagna.tv: ecco a voi Doug Scott, il “padre” dello stile alpino.

“Sull’Ogre? Sono venuto giù strisciando – racconta Scott quando gli chiediamo di quella terribile discesa compiuta trent’anni fa con Chris Bonington -. Il dolore era lancinante. Guarda qui, solo nel piede, mi hanno dovuto mettere quattro viti. Ma non ho mai pensato di smettere di scalare. No. Non era una buona idea”.

Era il 1977 quando accaddero i fatti che ora Scott racconta scherzando. Lui e Bonington compirono la prima salita della montagna, un vertiginoso picco di 7.285 metri in Karakorum, in completo stile alpino che solo Thomas Huber nel 2001 riuscì a ripetere. Durante la discesa, però, Scott si ruppe entrambe le gambe in una manovra con la corda: arrivò al campo base stremato, ma vivo.

Fu questa la salita che portò alla ribalta Doug Scott, classe 1941, originario del Derbyshire inglese. Realizzò molte delle “prime inglesi” sulle montagne del mondo e fu uno degli alpinisti di maggior successo negli anni Settanta e Ottanta. Ancor oggi il suo stile è un punto di riferimento etico per gli alpinisti. In un periodo in cui andavano di moda le spedizioni pesanti dallo stile militare, infatti, lui ha trasformato in pietre miliari i principi dello stile alpino: senza ossigeno, senza portatori, senza corde fisse e senza campi precedentemente montati.

Molti lo ricorderanno Scott nella versione figli dei fiori, in una celebre foto con i capelli lunghi, la bandana e gli occhialetti alla John Lennon. Quella foto fu scattata durante un’altra celebre spedizione: la salita alla Sudovest dell’Everest nel 1975. “Fu una prima straordinaria, ma per me è stata un’eccezione – racconta Scott nell’intervista – siamo saliti con l’ossigeno anche se in cima siamo rimasti senza. Quando ci ripenso, però, non posso fare a meno di pensare che forse l’abbiamo fatta nel modo sbagliato”.

Scott, nell’intervista, snocciola ricordi e curiosità sull’alpinismo di quegli anni e sui suoi rivali e compagni di cordata.  Riflette sui rischi che ha corso durante la sua vita, sull’arroganza che a volte lo ha messo in pericolo e sull’imprescindibile rispetto della montagna che l’alpinista deve sempre avere.

“La cosa migliore quando devi prendere una decisione è di non essere troppo ambiziosi – dice Scott -. Devi seguire l’intuito quando scali, essere aperto ai tuoi sei sensi. L’ambizione acceca. L’intuizione invece è il distillato della tua esperienza, e può essere così potente da diventare una voce nella tua testa che ti dice cosa fare, qual è il prossimo passo. Non c’è niente di male nell’ambizione, ma solo se non si fa del male agli altri. Nè a sè stessi”.

Scott poi si spinge oltre l’intuito. Parla di premonizioni. Delle premonizioni che gli alpinisti hanno quando stanno per morire, citando esempi sconvolgenti. E infine racconta di come ha fatto convivere alpinismo e famiglia. Separando le due cose? Niente affatto… vedrete la sua bimba al campo base dell’Everest a 9 mesi!

Corri a vedere la videointervista di Montagna.tv!

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