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Changri Nup, passo decisivo per la scienza

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BERGAMO — Le variazioni delle masse glaciali di Himalaya e Karakorum sono quasi sconosciute attraverso studi diretti e rilievi di terreno. E secondo recenti stime la fusione di nevi e ghiaccio ha un’importanza non trascurabile per le portate estive dei grandi fiumi asiatici come il Gange, l’Indo e il Brahmaputra. Ecco perchè, secondo i maggiori esperti italiani di glaciologia e climatologia, la stazione su ghiacciaio del Changri Nup, installata nei giorni scorsi dal Comitato EvK2Cnr, rappresenta una pietra miliare per la ricerca climatica internazionale nonchè un primo, prezioso passo verso nuovi traguardi della ricerca.

“La stazione di misura installata ieri è la prima italiana installata su un ghiacciaio himalayano – dice Guglielmina Diolaiuti, glaciologa dell’Università di Milano -. La sua localizzazione non costituisce solo un ampliamento della rete Share per il monitoraggio ambientale ad alta quota ma rappresenta anche la prima azione, coordinata da EvK2Cnr, nell’ambito del progetto di ricerca Paprika, che vuole studiare la risposta dei ghiacciai in Himalaya e Karakorum al cambiamento climatico e portare alla quantificazione degli scambi energetici e di massa dei ghiacciai del Terzo Polo, così vengono chiamate le masse glaciali delle grandi catene asiatiche, le più grandi sulla Terra dopo Antartide e Groenlandia”. 

“Le variazioni delle masse glaciali di Himalaya e Karakorum, infatti, sono ancora poco note  attraverso studi diretti e rilievi di terreno – prosegue la Diolaiuti -. Secondo recenti stime la fusione di nevi e ghiaccio ha un’importanza non trascurabile per le portate estive dei grandi fiumi asiatici come il Gange; un quarto della popolazione cinese, inoltre, vive nelle regioni occidentali del paese dove la fusione di ghiacci e neve è fondamentale nel produrre acqua dolce durante la stagione secca. In Nepal e Pakistan l’importanza dei ghiacciai e delle nevi perenni non è minore. Secondo molti scienziati, tra i quali anche i ricercatori italiani che si dedicano alle ricerche glaciologiche sulle grandi catene asiatiche, le conoscenze ad oggi disponibili su questi ghiacciai sono molto ridotte se confrontate a quelle per altre regioni del Pianeta e solo adeguate campagne di osservazioni dirette a sostegno di analisi e modelli permetterà di affermare con certezza se e quanto questi ghiacciai resisteranno al cambiamento climatico”.

Proprio per iniziare a colmare questa lacuna, nell’ambito del progetto Share si è decisa l’installazione della prima stazione sopraglaciale himalayana che per i prossimi anni raccoglierà informazioni e dati indispensabili alla quantificazione del bilancio energetico e di massa glaciale.

La stazione installata direttamente sulla superficie glaciale, rileva con continuità la temperatura dell’aria, l’umidità, la direzione e la velocità del vento, la pressione atmosferica, la radiazione solare incidente e riflessa, la radiazione atmosferica e la radiazione emessa dalla superficie glaciale. I dati registrati, inviati regolarmente in Italia, permetteranno ai ricercatori EvK2Cnr di valutare e quantificare l’energia assorbita dal ghiacciaio (sia sotto forma di energia radiante che come flussi turbolenti) e definire la conseguente fusione nivo-glaciale.

“La collocazione della stazione sul Changri Nup rappresenta sicuramente un evento di notevole importanza nel quadro della maggiore conoscenza dei ghiacciai himalayani e della risorsa idrica da questi rappresentati – commenta Claudio Smiraglia, glaciologo di fama internazionale e docente all’Università di Milano e socio del comitato EvK2Cnr -. Va inoltre sottolineato che il Changri Nup è stato scelto in quanto questo ghiacciaio rappresenta uno dei migliori esempi di “ghiacciaio bianco” dell’ Himalaya, una tipologia molto meno diffusa rispetto ai più comuni “ghiacciai neri” sui quali la presenza della copertura detritica continua altera gli scambi energetici con l’atmosfera e uindi rende difficile la comprensione degli esatti rapporti fra dinamica glaciale e dinamica climatica. Sul Changri Nup inoltre sono in corso monitoraggi delle variazioni frontali dal 1994, che hanno mostrato un continuo arretramento (circa 150 m). E’ sicuramente una delle serie più lunghe e continue di dati sulle variazioni frontali di un ghiacciaio himalyano che verrà proseguita. La collocazione della rete di paline pernetterà inoltre di ricavare il bilancio di massa dell’apparato (bilancio glaciologico) e di confrontarlo con il bilancio realizzato con i dati della stazione meterologica”.

La stazione Share-Changri Nup è l’ultimo tassello della rete Share allestita dal Comitato Evk2Cnr in collaborazione con il Cnr, e l’Università di Milano. Le stazioni Share fanno parte dei più  importanti progetti internazionali sul clima, condotti da Unep, Wmo, Nasa e Iucn.
Share è oggi il punto di riferimento mondiale per il monitoraggio climatico d’alta quota con le 15 stazioni installate sulle montagne più alte del mondo, dall’Asia all’Africa.

Anche Paolo Bonasoni, dell’Isac -Cnr e responsabile del progetto Share, commenta quest’ultima installazione:  “La riduzione della massa glaciale trovata dai nostri ricercatori sul Changri Nup conferma l’importanza degli studi eseguiti nell’ambito del progetto Share, e dell’Atmospheric Brown Clouds Project di Unep, per meglio comprendere e quantificare la portata dei fenomeni  che favoriscono la fusione dei ghiacciai Himalayani”.

“Le osservazioni e le misure eseguite direttamente sul ghiacciaio Changri Nup – continua Bonasoni – avranno un punto di forza nelle informazioni raccolte nel non lontano Nepal Climate Observatory – Pyramid, a quota 5079 m, in prossimità della Piramide EvK2Cnr. In questo osservatorio, dal marzo 2006, è misurata la concentrazione di black carbon presente in atmosfera, così come altri importanti parametri climatici quali l’assorbimento e lo scattering che gli aerosol producono sulla radiazione, la concentrazione di ozono, la radiazione solare ed altri parametri atmosferici”.

Le minuscole particelle di black carbon (originate dagli incendi di vaste aree forestali, dalla combustione di legno e sterco essiccato di animali spesso usati nelle aree rurali e montane per cucinare e per riscaldarsi nonchè dalla combustione di carbone e gasolio di motori e centrali elettriche) assorbono la luce del sole favorendo un riscaldamento in quegli strati di atmosfera dove è stato trasportato. Una volta depositato sulle superfici di neve e ghiaccio, il black carbon può ridurne significativamente l’albedo superficiale, provocando un’accelerazione della loro fusione. Grazie a misure eseguite al NCO-P nella stagione pre-monsonica 2006 e negli anni successivi, i primi risultati (attualmente in corso di pubblicazione in una serie di articoli sulla rivista internazionale Acpd), presentano le prime valutazioni riguardanti il “forcing radiativo” dovuto alla presenza del particolato che, a livello regionale, risulta significativamente più elevato di quello dovuto ai gas ad effetto serra riportato dall’Ipcc.

“E’ la prova tangibile che anche i ghiacciai posti sulle montagne più alte del Pianeta sono raggiunti da questa nube di inquinanti – dice Agostino Da Polenza, presidente del Comitato EvK2Cnr -, denominata Atmospheric Brown Cloud, che può modificare sensibilmente le condizioni dell’ambiente. Una prova che richiede un costante e serio impegno scientifico di valutazione, sottoposto alle più rigorose verifiche, per comprendere meglio le reali dimensioni quantitative e temporali dei fenomeni e per poterne valutarne le ricadute e mitigarne gli effetti”.

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