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“Il peso delle ombre”: racconti veri, fake news e comode bugie

Alessandro Gogna ama la montagna: la notizia è vera. Per questo riesce a scovare nel mondo dei montanari e ancor più in quello degli alpinisti delle particolarità e delle criticità che a volte rendono difficile questo amore.

Questa volta da bibliofilo montano s’è incontrato con il libro “Il peso delle ombre”, GabrieleCapelli Editore, di Mario Casella, giornalista svizzero di carta stampata, radio e televisione, ma anche provetto alpinista.

Vien da pensare, leggendo il libro, che la verità e l’oggettività siano materia poco frequentata sulle montagne: la complessità degli elementi interpretativi ambientali, la lunghezza della prestazione, che spesso si protrae continuativamente per giorni, l’incredibile quantità di stimoli e influenze psicologiche determinate dall’individuale condizione fisica, dallo stato di nutrizione, dalla mancanza di ossigeno, per dirne solo alcune, influenzano a tal punto la condizione psichica da proiettarci talvolta in realtà parallele, come studiato di recente da una ricerca scientifica sugli effetti psicotici dell’alpinismo d’alta quota. Insomma, in certi momenti non sappiamo cosa facciamo e se quel che ricordiamo è quel che abbiamo fatto. E così, giocoforza, ricostruiamo l’accaduto, spesso con ambiguità e, ovviamente, a nostro vantaggio.

Ma è anche vero che la prova non è in assoluto richiesta in alpinismo e dunque l’impresa, la mancata impresa o il salvataggio, proprio o altrui, rimangono nella storia come fatti accaduti, criticati e a volte confutati con altri pezzi di storie alternative alla prima. Questo crea il caso e quelle che Casella definisce ombre, che ci si trascina appresso, qualunque sia stata la motivazione della storia raccontata dal protagonista, o della contro-storia raccontata dai suoi detrattori.

Le conseguenze sulla vita dei protagonisti possono essere dolorose e deleterie, cambiano la percezione della credibilità da parte degli altri, sono un duro colpo all’autorevolezza, sia pure sportiva e alpinistica. Anche se a taluno pare non importi proprio e procede imperterrito verso… la cima.

Una ricerca complessa quella di Casella che tocca, lui lo fa con grazia, uno dei nervi scoperti dall’alpinismo. La verità è importante, ma la sua ricerca, sostiene Casella, non può essere però ossessiva tanto da deformarne i contorni e a volte i contenuti.

Resta il fatto che l’ambizione e l’esibizionismo sono indubbiamente, in dosaggi differenti secondo i casi e le persone, presenti nella storia dell’alpinismo e degli alpinisti, sempre, sia in senso positivo che deteriore. La competizione, altro elemento di stimolo al miglioramento anche qualitativo delle prestazioni, particolarmente nelle sue ricadute economiche, è talmente al ribasso e drogata dal rapporto tra professionisti ( guide e alpinisti sponsorizzati a vario titolo) e dilettanti ( accademici e amatori di vario pensiero e natura ideologica) da non consentire l’espandersi di un serio e credibile movimento professionale delle attività alpinistiche-sportive, che si fondi su un’oggettiva valutazione e riconoscimento della qualità delle attività stesse.

Il terreno incerto e ambiguo nel quale l’alpinismo si agita contribuisce a creare non pochi “casi”, veri e/o falsi.

Le storie nel libro di Casella sono 17, dal K2 di Walter Bonatti al Cerro Torre di Cesare Maestri, alle imprese di Cook in Alaska, all’Annapurna di Ueli Steck, ma anche la parete sud del Lhotse di Tomo Cesen e le ombre su Messner sopo il Nanga Parbat. Il tema dell’ossigeno e le storie di onestà ed umiltà delle donne di montagna attraverso le vicende di Henriette d’Angeville e di Edurne Pasaban. Sono tutte vere come le polemiche e le contro-verità che hanno suscitato.

Del resto, ogni alpinista è stato certamente protagonista, come ogni uomo di mare, di caccia o pesca, di piccoli e grandi “casi”, volontari o no, di esagerazione e manipolazione della verità. Qualcuno ci ha perfino costruito pezzi della propria fama. Ma non è un fenomeno dei giorni nostri. Esilarante ed emblematico in tal senso il famoso “libretto” di Giuseppe Mazzotti, regalato in edizione anastatica allo scorso Film Festival di Trento e che titola: “La montagna presa in giro”, anno 1935.

Casella conclude: “È stata per me una scalata carica di emozioni e a momenti fonte anche di inaspettate riflessioni che credo possano essere estese ad altri ambiti dell’attività umana: dal lavoro al tempo libero, dalla vita privata alla malattia. Sono temi che interpellano: la vita e la morte, l’amore per chi ti vuol bene; l’autostima e l’egoismo; la competizione e il rispetto degli altri”.

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4 Commenti

  1. Come si racconta o si filma, la realta’ ne viene influenzata.
    Disse Buzzati alla sua Guida e amicoGabriele Franceschini, autore dui guide e diario di vita :”Non divulgare, tieni tutto per te”Poi pero’non arrivano gli sponsor, gli inviti nei talk show, i clienti nel negozietto di articoli spotivi..gli ingaggi a pagamento per scalate o scialpinismo , gli articoli e le foto o le conferenze non si vendono.Bisogna pur mettere assieme pranzo e cena, bollette ecc.Le polemmiche e discussioni servono a tenere il ferro caldo…e convengono a tutti gli Attori.Pirandello loa sapeva lunga.

  2. Mi affretterò a leggere il libro, che mi sembra molto interessante. Certo differenzierei la riscrittura che tutti noi facciamo, continuamente, del nostro passato con la menzogna prodotta volontariamente allo scopo di attirarsi glorie non meritate.

  3. Ho conosciuto a M. di C. il grande alpinista Cesare Maestri, tra le varie domande a cui gentilmente rispose chiesi anche del Cerro Torre e lui con un fare molto triste rispose: sarebbe stato meglio che non ci fossi mai stato, e se ne andò.

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