AlpinismoK2 invernale

Tra sogno e rimpianto, Alessandro Gogna racconta il suo K2

“Quella al K2 è stata la mia ultima spedizione” ricorda Alessandro Gogna andando a ripescare nei meandri della mente un ricordo risalente al 1979. “È stata una bellissima esperienza dal punto di vista umano, anche se non ho avuto la fortuna di arrivare in cima a causa del brutto tempo”. È stato il destino, racconta con serenità l’alpinista genovese parlando di quella spedizione di fine anni settanta che l’ha visto protagonista insieme a Reinhold Messner (capospedizione), Renato Casarotto, Michael Dacher, Friedl Mutschelechner e Robert Schauer di una spedizione intenzionata ad aprire una nuova via lungo il pilastro sud. La via era stata progettata, dal capospedizione, sulla base di foto aeree e chiamata da Messner stesso Magic Line. Via che poi verrà salita solamente nel 1986 da un team polacco/slovacco. Forse, nel 1979, si era troppo in anticipo sui tempi per una salita di questo genere tant’è che la spedizione Messner, arrivata sotto la seconda montagna della terra, constatata l’impossibilità di salire il pilastro sud prende la decisione di tentare la salita dello Sperone Abruzzi dividendo la spedizione in due gruppi. Un primo formato da Messner e Dacher che raggiunge la vetta del K2 il 12 luglio, mentre il secondo formato dagli altri componenti (tranne Casarotto che non partecipa al tentativo finale sulla montagna) che purtroppo non tocca la vetta a causa del sopraggiunto maltempo.

In questo secondo gruppo anche Gogna che ci racconta come “la cosa li per li mi ha dato fastidio, ma dopo è passata tranquillamente. Maturando capisci che è più importate la tua crescita piuttosto che mettere nel carniere un’altra cima. Non mi è manco passato per la testa di tornarci, ma non si è trattato di paura. È andata così e va bene”.

“Il K2 è una montagna stupenda, fantastica, magnifica” aggiunge ancora il genovese orami naturalizzato milanese prima di spiegare che “ho più patito quando ci sono tornato nel 2004 per fare la pulizia del Circo Concordia che non durante il ritorno del ‘79”. Era passato un quarto di secolo da quella prima volta sotto la seconda montagna della terra mentre ne erano passati due dalla prima salita assoluta.

“Quella del 2004 è stata un’impresa tecnica interessante anche se non alpinistica” divaga Alessandro ricordando il gran lavoro che è stato necessario per coordinare le oltre cinquecento persone che nel cinquantenario della prima salita italiana si sono cimentate nel trek a campo base. “Un numero così grande di persone avrebbe rischiato di inquinare ancora di più la montagna” racconta. “Poi, ci siamo addirittura trovati ad aver a che fare con le immani discariche militari. Cose pazzesche per cui abbiamo dovuto lottare. Non ci facevano toccare nulla e abbiamo dovuto rimuovere le cose più inquinanti di nascosto”.

Tornando però all’esperienza personale, “è stato difficile perché vedevo gli altri che andavano su e giù. C’erano gli Scoiattoli e i ragazzi di Da Polenza. Mi è dispiaciuto vedere quella gioventù correre sulla montagna” ma alla fine si va avanti e si passa sopra anche all’inesorabile scorrere del tempo. “Son quelle cose momentanee che ti prendono, poi pensi a tutto il resto che hai realizzato nella vita. Il K2 rimane sicuramente un sogno. Uno di quelli che non ho raggiunto e che m’ha creato un leggero rimpianto”.

 Ora però tocca ai polacchi…

“Il K2 è l’ultimo Ottomila ancora non salito in inverno. Questo conferma che è la montana più difficile di tutte, soprattutto durante la stagione fredda a causa del clima e di quel maltempo più duraturo rispetto alla zona himalayana”.

“È l’ultimo problema dell’hymalaismo poi, ovviamente, non sarà finita perché ci saranno da realizzare le salite invernali delle varie pareti versanti e poi di vie sempre più difficili. Però, per quanto riguarda i polacchi, credo che dovranno avere fortuna. La fortuna giocherà tutto e spero ne abbiamo perché Wieliczki se lo merita.”

 

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