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Lhotse-Everest, ammucchiata celebrativa

KATHMANDU — Ma come, la corsa agli 8000 sembrava diventata meno glamour dopo le recenti affermazioni in tal senso di alcuni  fenomeni alpinistico-mediatici. E si sa , da tempo il “tasso” di glamour determina il successo o il declino delle cose.

Invece in questi giorni e nelle prossime settimane Kathmandu, nonostante scioperi, attentati, maoisti e cariche dell’esercito, pullula di candidati a raggiungere la vetta del, udite , udite, Lhotse. 

Perché son tutti al Lhotse? Montagna che nessuno, se non gli addetti ai lavori sa che esiste e che supera gli 8000 metri? Udite , udite di nuovo: perché  è il 50esimo anniversario della prima salita avvenuta ad opera della spedizione svizzera di Albert Eggler. Ma non erano quegli stessi “fenomeni” a criticare a “piene pagine”  e aspramente ( con qualche insulto) la consuetudine celebrativa?

La cosa che poi fa pensare è che da qualche settimana su e giù per la valle del Khumbu si incrociano gruppi sempre più numerosi di yak  e portatori. Stanno allestendo il campo base per i “sahib”  che lì arriveranno solo quando tutto sarà pronto, per prender possesso della tenda con materasso, del posto alla  mensa e del diritto di salita e con esso l’utilizzo di attrezzature , corde fisse , sherpa, eventuale ossigeno e… campi alti.

Ci arriveranno in molti anche dall’Italia: i nuovi aspiranti alla corsa dei 14 ottomila e chi invece “aspira” da parecchio tempo o  chi deve tornare sul Lhotse perché si era dimenticato qualche decina di metri di salita l’ultima volta che era stato lì. Ci sono i bravi , i bravetti e i temerari che con il Lhotse annunciano, ancora una volta, di voler salire anche l’Everest tutto d’un fiato. Impresa eccezionale a raccontarla, a realizzarla anche di più. 

E poi , visto che il Lhotse è separato dall’Everest solo da qualche centinaio di metri, che tra i due c’è il  Colle Sud , anch’esso di quota attorno agli 8000, sarà presente su entrambi i mostri l’improbabile popolo  “turistalpinistico” ossigenato, coccolato, trainato, spinto, nutrito, massaggiato, soccorso  da sherpa sempre più “materni”. S’incolonneranno lungo l’ “ice fall” che non crolla più, si ingrumeranno a campo uno e al due  dove diventa difficile trovare neve senza urina per farci acqua da bere.

I più, infilato in bocca il cordone ombelicale dell’ossigeno, e  attaccato il jumar alle corde fisse , s’incanaleranno sull’erta e ghiacciata parete del Lhotse, facendo il “salame” tra due sherpa con funzione paziente di traino e spinta. Fino a campo tre verso i 7400 m, e poi allo Sperone dei Ginevrini e poi al fatidico Colle Sud.

Quel che succederà da qui in su è difficile prevederlo. Se il tempo sarà clemente il Lhotse  e il suo fratello maggiore Everest concederanno ai più tenaci un momento di assoluta gioia, in ogni caso.

 
 
 
 

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