Alpinismo

31 luglio 2017: K2, tutti a casa

Anche i polacchi hanno rinunciato. Julek Wranicz e Darek Zaluski sono già in viaggio verso il passo Gondogoro 5625m, per poi scendere al villaggio di Hushe e proseguire per Skardu; Janusz Golab, debilitato da una intossicazione, sta facendo i bagagli al base, come Kuba Poburka e Andrzej Bargiel, che voleva scendere con gli sci dalla cima. Troppa neve e troppo rischio valanghe ha fatto sapere.

Il campo base come tutti gli anni si spopola e dei più di ottanta alpinisti che un paio di mesi fa puntavano alla vetta, solo una manciata ha coronato il proprio sogno e, dalle foto circolate, con grande gioia. Hanno usato ossigeno supplementare, ma era previsto e noto e loro paiono proprio contenti.

I polacchi invece su questa montagna sono in affanno da due anni. Da quando Krzysztof Wielicki, classe 1950 e un curriculum monumentale, ha annunciato di voler organizzare la spedizione invernale per salire il K2, l’ultimo ottomila che ancora resiste alla stagione fredda, la sfortuna sembra accanirsi sulle spedizioni polacche più o meno organizzate per prepararsi all’impresa invernale.

Un 31 luglio che nel 1954 vedeva invece in vetta Lacedelli e Compagnoni, fortissimi alpinisti, come formidabile fu il ventiquattrenne Bonatti che insieme a Madhi consentì ai due di utilizzare l’ossigeno per raggiungere la vetta.

Leggendo i commenti su Facebook riguardanti questa ricorrenza stupisce come a più di sessant’anni si scatenino reazioni forti celebrando questa “conquista italiana”. Forse, rileggendo con calma e attenzione i molti documenti di quella spedizione e riconoscendo la verità storica, appurata dai saggi del CAI, che placò la ricerca della verità da parte di Bonatti, si potrebbe essere più obbiettivi.

Quella fu una vera, grande impresa alpinistica e organizzativa! E non c’è tifo di parte che possa smentirlo. Certo, da contestualizzare in quel tempo. Dire diversamente significa sminuire un gran risultato sportivo italiano di quegli anni, ma anche il lavoro e l’apporto umano e sportivo dei singoli alpinisti: da Lacedelli a Compagnoni, passando per Abram, Gallotti, Bonatti, Soldà, Rey, Angelino, Floreanini, Viotto, il medico Pagani ed il cineoperatore Fantin. Vale poi la pena di ricordare, spero che tutti convengano, che senza Ardito Desio quella spedizione non sarebbe mai partita dall’Italia. Rileggere le pagine del resoconto della spedizione, quelle del Libro Bianco, quelle dei vari alpinisti e le molte scritte da Bonatti per vedere riconoscere la verità su alcuni momenti e fatti di quella spedizione, ma anche quelle di molti osservatori giornalisti e storici, non può che essere un esercizio appassionante per chi ama l’alpinismo, la verità, ma anche un’impresa che ha in una montagna formidabile il proprio inizio e simbolo.

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