Alpinismo

Fuga d’alta quota e multa da 22.000 dollari per l’alpinista abusivo dell’Everest

Una multa di 22.000 dollari per aver tentato di salire abusivamente, senza permesso di scalata, l’Everest. Questa la pena fino ad ora inflitta al sudafricano Ryan Sean Davy, 43 anni, fermato qualche giorno fa.

Davy aveva richiesto un semplice permesso per un trekking nella valle del Khumbu, che gli consentiva di arrivare al massimo fino al campo base del tetto del mondo. Invece l’uomo è stato beccato dopo aver raggiunto campo 2 ed aver trascorso qualche settimana su e giù da campo 1, con lo scopo presumibilmente di acclimatarsi per la salita in vetta.

A scoprirlo Gyanendra Shrestha, ufficiale di collegamento al CB, che si è visto scappare a gambe levate il sudafricano non appena gli si è avvicinato. Per ritrovare il fuggiasco è bastato seguire un amico di Davy fino alla tenda di quest’ultimo, che era stata posizionata in una grotta poco lontano dal campo base per evitare che qualche ufficiale governativo si accorgesse di lui.

Considerando che al momento, secondo l’Himalayan Times, ci sono solamente 3 ufficiali di collegamento al campo base dell’Everest, nonostante le oltre 50 spedizioni (ognuna ne dovrebbe avere uno), c’è da dire che Ryan Sean Davy è stato piuttosto sfortunato.

Arrestato, l’alpinista ha negato tutto, dichiarando che stava giustappunto per comunicare il trekking di rientro. Per il momento a Davy è stata comminata la multa salata e gli è stato sequestrato il passaporto, per poter condurre ulteriori indagini, ma quello che rischia è un divieto di ritornare in Nepal per 10 anni.

Ieri su Facebook le giustificazioni dell’alpinista, che ha ammesso le sue colpe, dichiarando che non si poteva permettere un permesso di scalata (il cui costo è di 11.000 dollari, ndr), che comunque non gli avrebbero concesso poiché non aveva alcuna esperienza alpinistica di rilievo. Vergognandosi di ciò, dato tutto l’aiuto che aveva ottenuto per la preparazione della spedizione, ha deciso di salire abusivamente. “La mia principale motivazione – scrive Davy – era poter essere sulla montagna per aiutare qualcuno che sarebbe potuto finire nei guai dato che ogni anno ci sono tante vittime. In un incidente 40 alpinisti sono passati davanti ad un uomo che stava morendo, implorando aiuto, ma tutti volevano arrivare in vetta e non volevano essere distratti (si riferisce al caso di David Sharp, morto sulla parete nord nel maggio del 2006, ndr). Se avessi potuto contribuire a salvare almeno una persona, questo avrebbe fatto la differenza e sarebbe stata la mia vetta. Purtroppo il sistema mi ha raggiunto e sono stato preso”.

Quando si dice che la pezza è peggio del buco. 

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