Sung-Taek Hong ci riprova sulla parete sud del Lhotse
È la quinta volta per Sung Taek Hong, di cui le ultime due in post-monsonico. Ce ne siamo occupati anche noi di montagna TV (qui e qui).
Stavolta sarà in compagnia di Jorge Egocheaga, che nel 2014 ha concluso la salita dei 14 ottomila. Medico e soccorritore, l’alpinista delle Asturie preferisce la sua libertà e rimanere lontano dai riflettori dei media e dagli sponsor; per lui “l’alpinismo non è uno sport, ma una filosofia di vita”.
Torniamo alla parete sud del Lhotse: scrivevamo nel 2015: “Su quella parete hanno sbattuto il muso Riccardo Cassin insieme a Reinhold Messner, Cristophe Profit, Tomo Cesen, ci ha lasciato la vita Jerzy Kukuzka”. Sung Taek Hong ha rinunciato, passatemi il “finalmente” liberatorio, dopo aver raggiunto gli 8200 metri, con condizioni ormai invernali, ed è rientrato al campo base e tornerà casa dopo più di due mesi e mezzo. “Ora posso comprendere come gli alpinisti possano superare la fame, il freddo, il dolore e la paura” Hong ha scritto nel suo diario pubblicato su internet, “ho dato tutto quello che il monte Lhotse ha potuto chiedermi per arrivare fin qui”.
Questa primavera sarà accompagnato oltre che da Egocheaga anche da altri cinque alpinisti coreani, ed annuncia a Pakistan Altitude: “La mia strategia rimane immutata, ma la parete sud di questa montagna è talmente pericolosa che non si può prendere in considerazione di attuare uno stile di arrampicata alpino e senza ossigeno. Questa ipotesi si è dimostrata priva di senso. Così per salire in vetta in sicurezza, vorrei installare un campo 5 a 8400 m (tra il C4 della scorsa spedizione e la vetta). La discesa avrei poi pensato di farla dalla via normale, sul versante opposto, approfittando della presenza lì di una spedizione coreana”.
Tutto da capire: viene anche il dubbio che ci sia qualcosa da comprendere sul senso dell’alpinismo himalayano. Staremo a vedere, di certo c’è che il pensiero e i sentimenti degli uomini che fanno alpinismo in alta quota a ottimi livelli si sta rapidamente evolvendo, assumendo forme e tecniche che pur avendo le loro radici nel passato si contaminano con le attuali tendenze, sfide, modi di porsi, anche nei confronti di se stessi e dei media. Se i cambiamenti non spaventano, ci sarà da divertirsi.
Non ho capito il commento dell’ultimo paragrafo. O meglio, non ho capito se la sua posizione in merito all’evoluzione dell’alpinismo di punta himalayano attuale sia scettica o neutra (posto che avrei dei dubbi sul definire alpinismo d’alta quota di ottimi livelli la scalata della parete sud del Lhotse con corde fisse e campi vari). e soprattutto non ho capito quali siano i cambiamenti di cui parla (io qui vedo l’ennesima ripetizione di cose già viste).