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Everest Invernale, riflessioni di un invidioso

“Concordo con te che un tentativo del genere non corrisponde ai principi dell’etica e del ‘fair means’, ma non ci sono regole in questo caso che proibiscano la preparazione del percorso, aiuto d’altri o limiti di finanziamento”.

È il commento del tutto pertinente e legittimo di un nostro lettore riguardo la performance di Alex Txikon all’Everest. L’affermazione che “in alpinismo e in Himalaya vale tutto” ci fa però riflettere. Parlarne peraltro espone al rischio delle reazioni violente dei clan che di quest’assunto caldamente raccomandano l’adozione.

Ad ogni modo, nelle more della pausa che il tentativo invernale di Alex Txikon ci ha concesso, proviamo a farci qualche pensiero sopra.

Che alpinisti di grande e/o medio valore organizzino salite su montagne e vie in inverno (senza ossigeno, va da sè), seguano regole consolidate dalla tradizione alpinistica o da nuove esigenze etico sportive o almeno regole di ingaggio alpinistico autoassunte prima di partire per la montagna, pare questione di buon senso ed accettable.

Ma una premessa è doverosa e riguarda la necessità di definire cos’è il valore di un’impresa alpinistica, che, per essere tale, dovrebbe risultare innovativa rispetto ai limiti precedentemente raggiunti nel superamento di difficoltà alpinistico-tecniche e/o climatiche, di tempo impiegato e mezzi supplementari utilizzati.

Se ci riferiamo alle salite invernali sugli 8000, il riconoscimento di “impresa alpinistica” di rilievo  parrebbe riguardare la ripetizione o l’apertura, senza l’uso dell’ossigeno supplementare (va da sè, ma giova ripeterlo) di itinerari classici o innovativi (molto meglio) in periodo invernale: quindi tra il  21 dicembre e il 21 marzo.

La rinuncia a “supporti organizzativi”, come gli sherpa (soprattutto se usano ossigeno loro stessi) oltre il campo base, viene da molti indicato come un forte valore aggiunto.

Quel che sta accadendo all’Everest di questi giorni può aiutare a capire.

L’annuncio e le regole assunte pubblicamente da Alex Txikon prima di partire erano semplici e chiare: salire l’Everest in stagione invernale (partendo dal campo base non prima del 21 dicembre e rientrando entro il 21 marzo), salirlo con una squadra di due alpinisti (lui e Carlo Rubio), senza uso di ossigeno supplementare. Il supporto degli sherpa, in numero di 7, veniva limitato al percorso tra campo base e campo 2, di questi solo 2 avrebbero contribuito ad attrezzare i campi successivi. Quindi al massimo avrebbero piazzato corde fisse fino a Colle Sud ed installato Campo 4 a 7950m.

Alex aveva  aggiunto che se il suo compagno non ce l’avesse fatta, lui sarebbe stato disponibile a tentare da solo. La solitaria è un valore aggiunto, evidentemente. Alex è un duro da un punto di vista atletico e sportivo, tosto nella determinazione, positivo rispetto al risultato che tenta di ottenere, ad ogni costo. È anche un super comunicatore.

Quel che possiamo ad oggi dire rispetto a quanto da lui enunciato è che: ha rispettato le date canoniche e non usa ossigeno (bene); il suo compagno ha rinunciato per malattia e lui ha di fatto ingaggiato gli sherpa come squadra aggiunta. Lui senza ossigeno, loro con. Lo hanno accompagnato, in 5, fino a Colle Sud e poi sono scesi tutti al campo base per riposare e aspettare un’altra occasione di bel tempo e calma di vento. Comunque un gran bel lavoro.

Poi Txikon, per ragioni che non ha voluto far conoscere, che abbiamo intuito  grazie alle indiscrezioni di giornalisti a lui vicino, è volato a Kathmandu e si è preso una settimana di ferie dall’Everest. Dal giardino del suo Hotel posta foto di gruppo con la sua nuova squadra alpinistica che ora è composta da 5 persone, lui e 4 sherpa che dopo una cena motivazionale ora sembrano pronti a seguirlo in vetta all’Everest. Cambiare squadra in corsa pare una sua specialità.

Uno di questi giorni ripartiranno per il campo base, in elicottero suppongo, e da lì riprenderanno il gioco alpinistico della prima salita invernale all’Everest senza ossigeno. Bene!

Se Txicon sia dentro la consuetudine alpinistica e le regole d’ingaggio che si era dato, lascio a ognuno decidere.

Riguardo poi a questa inusuale discesa a Kathmandu, mi vien da considerare che è capitato altre   volte, anche sulle Alpi, che si sia iniziata una via, si sia poi scesi lasciandola attrezzata e si sia poi ritornati settimane dopo per completarla. Lo ha fatto perfino il padre del rigore alpinistico, Walter Bonatti.

Riguardo l’ossigeno mi viene un’altra riflessione. Se corri il Giro d’Italia, sei il capitano della squadra ed arrivi in maglia rosa a Milano, hai vinto, ma se i tuoi 5 gregari si dopavano (tu no ovviamente) per supportarti meglio, loro verrebbero squalificati e forse anche tu. L’aver taciuto sul doping del compagno di squadra e vita è costato alla bravissima Kostner una dolorosa squalifica. La connivenza, come in questo caso sull’Everest, non è proprio bella da vedere: e se gli scherpa ossigenati risultassero determinanti per la salita del capitano “puro e duro”, si potrebbe parlare ancora di “prima salita invernale senza l’uso dell’ossigeno”? Anche se in alpinismo e in Himalaya “vale tutto”.

Lo so che alcuni lettori già stanno digitando: “invidioso!”, ma non avrei scritto facezie di questo genere se non stimolato dall’ozio che l’inazione di Alex mi ha procurato.

Dai Alex torna in quota, è appassionante quel che stai facendo e comunque quel che resterà, se ce la farai, come mi auguro, sarà la tua vetta, non le nostre chiacchiere da bar.

 

(Nella foto la cresta terminate dell’Everest, sullo sfondo il Makalu. Foto @ ilgiornale.it)

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