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Sfida formidabile: l’Everest in inverno

Bravo Alex ci vuol coraggio per metterci il naso per davvero, ma che significa l’Everest d’inverno?

Intanto stiamo parlando del versante sud, quello che si raggiunge partendo da Kathmandu atterrando all’aeroporto di Lukla, esile striscia di asfalto a 2800m sul dorso di una montagna. Già a Lukla che faccia freddo inutile dirlo e che lo faccia sempre più man mano che ci si avvicina al campo base è logico. Lassù, tra Colle Sud, situato a 8000 metri, e la vetta del Tetto del Mondo, le temperature, con il vento che le fa precipitare ancor di più, sono “quasi insopportabili”. Non tutti i giorni dell’inverno però: può essere che si presentino (ma quando?) 24 o 48 ore di magia durante le quali l’aria non corre disperatamente da nord a sud infilandosi nella gola d’alta quota del Colle più alto della terra. Lì ci devi mettere un campo, devi rifornirlo, passarci almeno una notte in salita e una in discesa.

image004Il vento più violento registrato da satellite in vetta all’Everest è stato il 1 febbraio 2004 e sparava a 280 chilometri orari; la stazione meteo Share Everest installata a colle Sud, che ha funzionato un paio d’anni prima di essere sradicata dalla sua base dalle raffiche, di chilometri orari ne aveva misurati 180.

Alex la sua esperienza l’ha già fatta: ha al suo attivo una trentina di spedizioni con una percentuale del 50% di successo ed è ormai un veterano delle invernali; il suo compagno, meno noto di lui, è uno sciatore estremo ed alpinista, Carlos Rubio, ha 28 anni e non pare per nulla intimorito dal freddo e dall’Everest. Partiranno dalla Spagna per Kathmandu il giorno di Natale e questo dovrebbe essere benaugurale, con loro due cineoperatori professionali che documenteranno l’impresa. Bene.

Il 17 febbraio 1980 Krzysztof Wielicki e Leszek Cichy, polacchi purosangue membri di una numerosa e agguerrita spedizione, salivano per la prima volta un ottomila d’inverno, il più alto, l’Everest, ma usando l’ossigeno. Il 22 dicembre dell’87 Ang Rita, fortissimo alpinista nepalese, arrivava in vetta all’Everest, pare senza ossigeno, con una spedizione coreana, ma per registrare l’invernale era in anticipo di qualche giorno. Anche se bisogna fargli tanto di cappello. Ci furono poi alcuni tentativi invernali negli anni ‘80 e ‘90 da parte di spedizioni giapponesi. Nell’inverno 80-81 c’era anche una spedizione inglese, con Alan Rouse, Joe Tasker ed i fratelli Burgess, che prova senza successo la difficilissima cresta ovest; in contemporanea anche una super spedizione giapponese tentava di portare l’alpinista ed esploratore giapponese Naomi Uemura in vetta all’Everest per la via di colle Sud. Da quelle parti in quell’inverno c’è anche una spedizione italiana-bergamasca che prova a salire il Lhotse e raggiunge Colle Sud.

Dopo il Nanga Parbat, sembrava che Alex si sarebbe portato sul tetto del mondo Ali Sadpara, il forte pakistano che lo scorso inverno sulla montagna di casa sua aveva dato molto e contribuito ampiamente al successo. La sua mancanza si farà sentire all’Everest. Alex annuncia in ogni caso che un gruppo di sherpa nepalesi daranno una mano attrezzando l’IceFall fino a campo due con scalette di alluminio e corde fisse. Un’operazione complessa e faticosa, ma anche parecchio costosa per una sola spedizione. Vero che la cascata di ghiaccio, che supera un dislivello di poco inferiore ai mille metri e che nella stagione pre e post monsonica scivola a valle con la “pazzesca” velocità di un metro al giorno, d’inverno rallenta e quindi è più stabile, ma il lavoro rimane enorme. “Da campo due, che sarà a 6400m, con noi avremo solo 4 nepalesi ad aiutarci ad installare campo 3 ed il campo a Colle Sud” dice Alex, che però da lì in su non ha ancora deciso cosa farà. Potrebbe tentare anche da solo.

Una sfida formidabile.

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Un commento

  1. Per la scienza l’inizio dell’inverno meteorologico e’ il primo
    giorno di dicembre, quindi il 22 sarebbe da considerare
    pieno inverno. Il fatto che si definisca diversamente e’
    solo una faccenda burocratica . Sarebbe ora di correggere.

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