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Erbonne, il borgo abitato solo da quattro donne sulle montagne del Comasco

Collocato a 940 metri di quota in Val d’Intelvi, il paese si è spopolato alla fine del secolo scorso. Un piccolo museo dedicato al contrabbando e una fitta rete di sentieri le attrazioni di un luogo che rivive nei fine settimana

Una cinquantina di case in pietra, arroccate come un presepe alle pendici del Monte Generoso (1704 m), dal quale nasce il torrente Breggia. Proprio in prossimità del paese, il corso d’acqua entra in territorio svizzero, percorre la valle di Muggio e poi ritorna in Italia per sfociare nel lago di Como. Siamo a Erbonne, a 940 metri di altitudine, ultimo lembo di territorio italiano in questa zona della Val d’Intelvi. Si arriva fin qui da Casasco d’Intelvi e si parcheggia a un centinaio di metri dal borgo, che è pedonale. Qui finisce la strada, non è possibile attraversare il confine in macchina. A custodire la memoria del paese e a mantenerlo vivo con la loro presenza sono rimaste quattro donne, le ultime residenti di Erbonne. D’estate il paese si popola di turisti, attratti da un paesaggio poco antropizzato, dal fascino di questa landa isolata che sembra fuori dal tempo e dalle sue storie di contrabbandieri, raccontate in un piccolo museo.

Camminando fra le viuzze di Erbonne, è subito chiaro che anche qui c’è stato un progressivo spopolamento. In quella che una volta fu la scuola è stata ricavata una trattoria – l’unico esercizio del paese – e un lavatoio conserva il ricordo delle donne del paese che lo utilizzavano. Com’era Erbonne? Un documentario della Televisione Svizzera Italiana dell’aprile 1965 mostra un borgo animato, pieno di famiglie con bambini e tanti animali: mucche, capre, pecore. Allora erano in 117, ma prima il paese è arrivato a ospitare circa 150-160 persone. Poi, già nel 2001 gli abitanti erano scesi a 15. «Da qualche anno, sono state recuperate alcune case da locali della Val d’Intelvi, che amano venire qui», spiega Matteo Augustoni, presidente di Valle Intelvi Turismo. «È in corso una ristrutturazione sopra la trattoria per ottenere alcune camere e poter offrire ospitalità a chi desidera fermarsi». Fermarsi a Erbonne per un paio di giorni sarebbe infatti un’opportunità di relax a contatto con la natura. Non mancano i sentieri per passeggiare nei boschi di faggio e castagno. Si può salire in vetta sul Monte Generoso in poco più di 2 ore e mezzo passando da Orimento e scendere a Mendrisio, a piedi o con il trenino. Oppure passando dal ponte ciclopedonale realizzato nel 2005 si può raggiungere il paesino svizzero di Scudellate in mezz’ora e da lì esplorare la Valle di Muggio. «Un appuntamento importante è la festa che si tiene ogni anno il primo weekend d’agosto. Erbonne accoglie i visitatori con musica, cucina tipica, eventi», aggiunge Augustoni.

La Svizzera come più agevole punto di riferimento

Attraversando il Breggia grazie al ponte, il pensiero va agli abitanti di Erbonne del secolo scorso. Molti di loro in passato lavoravano in Canton Ticino oppure andavano oltreconfine per semplicemente per vendere burro e formaggi. E ogni giorno dovevano scendere lungo la gola per attraversare il Breggia e poi risalire verso Scudellate. Qualcuno si domanderà perché dovessero andare proprio in Svizzera, quando potevano andare verso Casasco e San Fedele. Per diversi motivi. La Confederazione, in linea d’aria, era a circa 200 metri. La strada carrozzabile verso Casasco risale solo al 1954: prima, per raggiungere il primo paese italiano, gli erbonnesi ci mettevano oltre un’ora di cammino. La Svizzera era molto più vicina. Inoltre, c’era anche un legame storico. Erbonne è infatti una sorta di enclave svizzera in territorio italiano. Queste terre erano abitate già in epoca preromana, ma la nascita e lo sviluppo del borgo attuale è legato agli alpeggi. Gli abitanti della Val di Muggio portavano qui le mucche d’estate e si fermavano per alcuni mesi. A qualcuno probabilmente il posto piaceva e iniziarono a sorgere le prime case, creando un insediamento stabile. Il documentario della TSI di sessant’anni fa racconta che 70 su 117 abitanti erano cittadini svizzeri. Il cognome più diffuso, Cereghetti, è della Val di Muggio. Il secondo, Puricelli, è di Sala Comacina, sul Lario. Probabilmente qualche giovane del lago si sarà innamorato di una ragazza del posto, dando l’avvio a una comunità con radici italiane e svizzere.

Non era una vita facile, quella degli erbonnesi. Ancora sessant’anni fa, qualcuno emigrava per lavorare nella Svizzera interna. E anche chi non andava via, trascorreva i mesi estivi lontano da casa con le mucche, a Orimento. Fino al primo decennio del Novecento, i bambini andavano a scuola a piedi in Svizzera. Poi furono organizzate lezioni in paese e finalmente nel 1958 fu aperta la scuola. Peccato però che il numero dei piccoli studenti incominciò a diminuire, finché nel 1969 la scuola fu definitivamente chiusa. I bambini di allora dovevano essere dotati di buone gambe: per scendere a Casasco a piedi erano sette chilometri di andata e sette di ritorno, anche sotto la pioggia e la neve. Una leggenda del posto, raccontata in un documentario di Gianni Volenterio del 2015 da un abitante di allora, parla di una disputa fra i sindaci di Muggio e San Fedele: giocando alla morra, quello svizzero di Muggio avrebbe perso ed Erbonne sarebbe così finita in territorio italiano. Fantasie a parte, a Erbonne il confine è sempre stato qualcosa di molto labile, quasi inesistente. Fino al 1916, anno in cui fu costruito il cimitero, gli abitanti del paese portavano liberamente i loro morti a Scudellate, varcando la frontiera. Oggi sarebbe impensabile.

Il contrabbando era un’indispensabile fonte di reddito

È stato il contrabbando a far nascere l’esigenza di un maggiore controllo. Per decenni, portare di nascosto le sigarette dalla Svizzera nelle bricolle – così erano chiamate le sacche per trasportare la merce – ha fatto la fortuna di molte zone di confine nel Comasco. Anche in Val d’Intelvi, oltre a qualche locale, c’erano contrabbandieri provenienti anche da paesini del lago. «Il contrabbando era un’attività illegale, ma per alcuni è stata una necessità di vita», dice Stefano Agnese, finanziere per tre anni da queste parti durante il servizio militare e oggi presidente dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia della sezione “Alceo Salvini” della Valle d’Intelvi. «A Erbonne dal 1947 al 1977 ha funzionato una minuscola caserma della Guardia di Finanza, dove c’erano due finanzieri 24 ore su 24. Il passaggio pedonale verso la Svizzera imponeva il controllo documenti». Certo i contrabbandieri non passavano da Erbonne in pieno giorno, e forse solo qualcuno era erbonnese. Era di notte che le montagne al confine diventavano il teatro della lotta fra i burlanda, come erano chiamati i finanzieri in dialetto, e gli sfrusaduu, i contrabbandieri. Intorno alla fine degli anni Settanta, è diventato sempre meno conveniente procurarsi sigarette, cioccolata, sale in Svizzera e il contrabbando è diventato un ricordo. La memoria oggi è conservata in un piccolo museo, proprio a Erbonne. «Dopo il 1977, la caserma è rimasta in stato d’abbandono, racconta Agnese. «Poi la nostra associazione ha fatto i lavori di recupero e dal 2002 abbiamo aperto il Piccolo Museo del Contrabbando, che oggi è del Comune di Centro Valle Intelvi. Conserviamo le divise della Guardia di Finanza italiana e delle Guardie di confine elvetiche, l’abbigliamento dei contrabbandieri e altri cimeli e reperti dell’epoca. Abbiamo trovato anche dei piatti con lo stemma della Guardia di Finanza, che erano in uso dei finanzieri della piccola caserma». Il Piccolo Museo del Contrabbando di Erbonne è visitabile gratuitamente su prenotazione (info sul sito di Valle Intelvi Turismo).

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