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Giulio Speranza, fotografare l’Abruzzo come faceva Vittorio Sella. Le immagini più belle

La straordinaria qualità del banco ottico, ma anche uno zaino che pesa tra i 22 e i 23 chili. I libri che il fotografo romano ha dedicato a Gran Sasso e Majella sono stati realizzati così. Per il terzo, dedicato al Velino-Sirente, è stato avviato un crowdfunding, al quale si può contribuire

Da qualche anno Vittorio Sella ha ripreso a scattare le sue foto. O, meglio, ha un emulo appassionato e fedele, che utilizza macchine altrettanto pesanti di quelle del maestro biellese che ha immortalato il Ruwenzori, il Kangchenjunga e il K2. Al contrario di Sella, va detto, Giulio Speranza non affida la sua attrezzatura ai portatori di etnia Sherpa o Baltì. Carica tutto sulla schiena e parte. Il suo zaino, mediamente, pesa tra i 22 e i 23 chili. 

Giulio, 45 anni, vive a Roma, e come tanti escursionisti e alpinisti della Capitale ha un profondo rapporto con l’Abruzzo. Fotografo professionista da un decennio, dottore di ricerca in Scienze Geologiche, ha deciso sette anni fa di dedicare molto tempo e molta fatica a quella che definisce “la mia storia d’amore con l’Appennino abruzzese”. 

Il suo primo libro, “Gran Sasso d’Italia”, uscito nel 2020, è dedicato alla cima più alta dell’Appennino. Il secondo, “Majella Madre”, del 2023, racconta le atmosfere e i paesaggi del massiccio che separa le altre montagne abruzzesi dalle colline che scendono al Mare Adriatico. Il terzo libro, in preparazione, s’intitolerà “Le mie Montagne, una storia del Velino-Sirente”.

Oggi molti frequentatori dei monti, sull’Appennino, sulle Alpi o altrove, realizzano le loro immagini con un telefono cellulare, o tutt’al più con una reflex. Giulio Speranza, per raccontare il paesaggio, preferisce invece il banco ottico e il bianco e nero. Un metodo che conosce perfettamente (tiene regolarmente corsi di fotografia in grande formato), e che gli regala un modo diverso di vivere e vedere la natura. 

In una giornata riesco a scattare due o tre foto. Per ognuno dei miei libri, che ne comprendono 50, ho scattato circa 160 immagini, non di più”, spiega il fotografo romano. “Mi sento in sintonia con il paesaggio, osservarlo per scegliere cosa fotografare mi fa capire molte cose. Anche le foto che non scatto diventano parte della mia storia e mi arricchiscono. I miei non sono dei lavori puramente estetici, ma raccontano il territorio”.    

Alla domanda su cosa distingua l’uno dall’altro i tre grandi massicci abruzzesi, Giulio non ha dubbi. “Il Gran Sasso è più spettacolare, più “alpino” e più famoso, e a parte le vette più alte è spesso di facile accesso, il che ha facilitato il mio lavoro. E’ anche il massiccio più amato, e infatti il mio primo libro è esaurito, e in attesa di una ristampa”. 

La Majella è un luogo unico al mondo, con il suo altopiano sommitale e i suoi valloni selvaggi. Gli eremi aggrappati alla roccia mostrano un volto unico e speciale del massiccio”, continua il fotografo romano. “Il Velino e il Sirente sono più frastagliati e complessi, con tante cime le une accanto alle altre. Alcune zone si raggiungono comodamente, altre meno. Lo conosco bene, ma continuo a cercare”. 

Alla domanda su cosa progetta di fare dopo la conclusione della trilogia sull’Abruzzo, Speranza risponde con un sorriso. “Certamente mi prenderò una pausa, questi sono lavori faticosi. Poi sono in dubbio. L’Appennino centrale comprende tanti altri massicci, ma preferirei dedicarne uno alle Alpi. Vedremo”.


Intanto, per concludere la trilogia sull’Abruzzo, Giulio Speranza ha bisogno di aiuto. Come “Gran Sasso d’Italia” e “Majella Madre”, “Le mie Montagne, una storia del Velino-Sirente” verrà stampato in proprio dall’autore, in 350 copie numerate e firmate, con metodo Triton su carta Arctic Volume White. Il formato sarà di 29,3×27,6 centimetri, le pagine 96, la copertina rigida. 

Chi vuole dare a Giulio una mano può contribuire al suo crowdfunding sulla piattaforma Kickstarter. Informazioni sul progetto e sull’autore si trovano sul sito, dove è anche possibile acquistare o prenotare i suoi volumi. 

 

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