Thomas Reichegger e i “3000” della Valle Aurina
Dall’idea nata per scalare rimanendo vicino alla famiglia è scaturita una importante raccolta di dati scientifici e topografici. Che, in qualche caso, hanno cambiato le carte in tavola

La Valle Aurina, Ahrntal in lingua tedesca, è la valle altoatesina situata più a nord d’Italia; è contornata a nord da una lunga catena di monti che fanno da confine con l’Austria e che si elevano spesso ben oltre i 3000 metri. Tra le vette più conosciute si ricordano il Picco dei Tre Signori (Dreiherrenspitze, 3499m), il Pizzo Rosso di Predoi (Rötspitze, 3495m), il Sasso Nero (Schwarzenstein, 3368m), il Gran Mesule (Möseler, 3479m) e la Punta Bianca (Weisszint, 3371m), tralasciando il Gran Pilastro (Hochfeiler, 3509m), che pur essendo la vetta più alta della catena aurina, ricade nella limitrofa valle di Vizze.
Più a sud ci sono le Vedrette di Ries, altrettanto maestose con il Collalto (Hochgall, 3436m) il Monte Nevoso (Schneebiger Nock, 3368m) e la Cima Dura (Durreckspitze, 3130m).
La Valle Aurina inizia geograficamente a Brunico, in Val Pusteria, e si snoda, prima come valle di Tures, poi come Valle Aurina vera e propria, per oltre 40 km in direzione nord, diramandosi in alcune valli laterali quali la valle dei Molini che porta al lago di Neves, la valle di Riva di Tures al centro delle imponenti Vedrette di Ries e la valle di Riobianco: una vallata che fino a qualche anno fa era dominata da ghiacciai, mentre ora, con il cambiamento climatico, queste importantissime riserve d’acqua dolce sono in via di inesorabile scioglimento.
Nelle brochure e nei siti turistici si legge spesso che la Valle Aurina è caratterizzata dalle oltre 80 vette sopra i tremila metri, ma non tutti prendono per oro colato quanto leggono: Thomas Reichegger, alpinista 36enne, nato e cresciuto a Selva dei Molini, socio della sezione di Campo Tures dell’Alpenverein Südtirol, ha voluto vederci chiaro e, spinto dalla passione per la montagna e dall’amore per la sua valle, per due estati consecutive ne ha voluto salire tutti i “3000”. La sua però non è stata solo una performance sportiva ed alpinistica, ma ha avuto risvolti ben più profondi della pura scarpinata.
Il primo sguardo verso le alte cime
Ho incontrato Thomas Reichegger a Brunico per capire le motivazioni che lo hanno spinto a salire tutti i 3000 della Valle Aurina e la chiacchierata è iniziata con il racconto di quando aveva otto anni…
«Da piccolo sono stato per alcune estati in una malga a duemila metri, nella mia valle; – così esordisce Thomas – aiutavo il contadino con il bestiame e le pecore; il mio orizzonte era limitato alla vallata natia e alle cime che la contornano. Finché una volta seguendo alcune pecore salii più in alto e raggiunsi la cima che stava sopra la malga: da quella cima la vista spaziava verso nord e per la prima volta vidi una catena di alte montagne ammantate di ghiacci. Era la catena delle Alpi Aurine. Fu una folgorazione».
Quel giorno in Thomas crebbe la voglia di andare ad esplorare quel mondo, così vicino al suo paesello, ma a lui praticamente sconosciuto. Crescendo, iniziò a salire alcune delle cime come la Punta Bianca, che si trova sopra il lago artificiale di Neves, poi il Gran Mesule, pian piano allargò i suoi orizzonti acquisendo sempre più dimestichezza con quelle pietraie e quei ghiacciai.
La passione per la montagna era ormai in lui e con il tempo crebbe quell’esperienza che pian piano lo portò a salire dapprima le vie normali alle principali vette della valle, poi cambiò obiettivo, andando a salire alcune delle principali vette delle Alpi, dai colossi della zona dell’Ortles ai 4000 delle Occidentali. Ogni anno progettava qualche salita, acquisendo tecnica sia su roccia che su ghiaccio, che gli consentì di affrontare anche pareti nord e cascate di ghiaccio. Con il passare degli anni però, impegni di lavoro e di famiglia lo costrinsero a limare i suoi ambiziosi obiettivi.
«Sono sempre andato molto in montagna – prosegue Thomas – ma negli ultimi anni soprattutto dopo la nascita dei figli ho voluto dedicarmi maggiormente alla famiglia. Tre anni fa, ho rispolverato una vecchia idea che avevo in mente, quella di salire tutte le cime sopra i 3000 metri della mia valle. Un modo per essere vicino alla famiglia e nello stesso tempo poter dare sfogo alla mia passione».
Il progetto
Professore in un istituito superiore di Brunico, Thomas ha sfruttato le vacanze estive per portare a termine il suo progetto: assieme a vari compagni di escursione ha pianificato le varie salite, andando a ricercare e catalogare tutte le cime aurine, confrontando le informazioni ricavate da carte topografiche attuali e vecchie, ma soprattutto studiando – è proprio il caso di dirlo – la letteratura alpinistica disponibile: la guida alpinistica di Werner Beikircher e Karl Hellweger “Alpinführer Tauferer-Ahrntal” del 1981 e poi le due guide dei Monti d’Italia di Fabio Cammelli e Werner Beikircher “Alpi Aurine” e “Alpi Pusteresi” edite dal CAI e TCI.
Lunghe sere passate a studiare le varie carte topografiche e gli itinerari descritti nei libri si sono trasformate in grandi giornate in montagna, alla ricerca di itinerari alternativi alle vie normali, da percorrere assieme a vari amici e conoscenti: molte vette sono state salite lungo creste dirupate, pareti nord su cui il ghiaccio è ormai ridotto ai minimi termini, sentieri che si perdono in basso, perché un tempo lì arrivavano i ghiacciai.
Il ritiro dei ghiacciai
Prosegue Thomas: «Da quando ho iniziato a frequentare la montagna, ho notato un vistoso calo dei ghiacciai, soprattutto quelli esposti a sud. Tempo fa in una soffitta trovai una scatola con vecchie fotografie di mio padre e una di queste era stata scattata alla base del ghiacciaio di Neves orientale; il ghiaccio era così spesso che l’acqua usciva da una bocca gigantesca. Ora lo stesso ghiacciaio è praticamente scomparso».
Il calo dei ghiacciai aurini è una tragica realtà, sopravvivono solamente quelli esposti a nord, nelle Vedrette di Ries o nella zona del Pizzo Rosso e del Picco dei Tre Signori. Ritirandosi, i ghiacciai hanno messo a nudo le rocce sottostanti, levigate dal loro scorrere verso valle negli anni, e hanno anche smesso di esercitare la pressione sui fianchi dei solchi glaciali, generando crolli e disgregazioni di rocce. Anche la diminuzione del permafrost verificatasi negli ultimi vent’anni ha dato il suo contributo alla disgregazione delle rocce, con la conseguenza che molte creste sono diventate assai instabili e, laddove prima si saliva sul ghiacciaio, ora si deve salire lungo macereti o blocchi caotici di pietre. Proprio per questo motivo il periodo in cui si affrontano le salite a queste stupende montagne si sta anticipando sempre più: se trenta o quarant’anni fa molte delle cime aurine si affrontavano a fine agosto e settembre, ora vengono salite preferibilmente a giugno e a luglio,quando ancora sono presenti campi di neve primaverile, che consentono un più agevole cammino.
Le misurazioni
Su ogni vetta salita, Thomas Reichegger ha effettuato varie misurazioni della quota con gli strumenti di geolocalizzazione GPS del cellulare e di un altro apparecchio specifico, annotando in modo certosino i dati rilevati, per poi confrontarli con le quote riportate sulle carte, il tutto al fine di avere un risultato medio il più attendibile possibile.
Ogni cima è stata così catalogata, assegnandole anche la corretta denominazione, sulla base di linee guida adottate a livello internazionale dall’UIAA, che definiscono le varie elevazioni in base alla prominenza, ossia la differenza tra la quota della cima e quella del punto più basso attorno alla montagna stessa, da cui bisogna passare per salire su un’altra di altezza maggiore. In base a questo principio Reichegger ha individuato 26 montagne (ovvero elevazioni con una differenza tra quota minima e massima maggiore di 300 metri) e 66 tra cime (in questi casi la differenza è compresa tra 30 e 300 metri) e anticime o cime secondarie, queste con differenze di quota inferiori a 30 metri.
Le difficoltà superate
Le varie salite sono state portate a termine in stile alpino, partendo dal fondovalle o facendo tappa nei rifugi alpini (Giogo Lungo/Lenkjöchlhütte, Brigata Tridentina/Birnlückenhütte, Sasso Nero/Schwarzensteinhütte, Ponte di Ghiaccio/Edelrauthütte, Porro/Chemnitzerhütte, Roma/Kasselerhütte, Vedrette di Ries/Rieserfernerhütte); molte delle cime, ove possibile, sono state salite concatenandole e sono tanti i metri di dislivello percorsi per raggiungere le varie vette. Alcune di queste hanno comportato difficoltà notevoli, come il Collaspro/Wildgall o la cima di Casavecchia/Althausschneide, tra il Picco dei Tre Signori e il Pizzo Rosso di Predoi, la cui salita ha comportato passaggi in roccia di quinto grado. Infatti, Thomas ha cercato spesso vie alternative alle normali, aggiungendo alla sua performance un alto valore alpinistico, ma non lasciando dietro di sé chiodi, cordini o altro materiale per rispetto della montagna.
Va anche dato conto della buona dose di fortuna avuta in queste sue scorribande tra i monti aurini in disgregazione: nella traversata tra la Piccola e la Grande Cima Finestra/Fensterlekofel nelle Vedrette di Ries per la notevole instabilità della roccia alcuni massi erano particolarmente instabili, costringendo Thomas e il suo compagno a un pericoloso equilibrismo.
Ora questo ambizioso progetto portato a termine da Thomas Reichegger è concluso e i dati da lui raccolti verranno forniti a chi aggiorna le carte topografiche, per consentire una sempre maggiore precisione di tali indispensabili strumenti. Tuttavia, al momento non c’è l’idea di realizzare qualche pubblicazione, anche per evitare un incremento di salite su molte di queste montagne, che – va ribadito – sono ad esclusivo appannaggio di alpinisti esperti e perfettamente attrezzati. Per lo stesso motivo, Reichegger ha chiesto di non corredare le fotografie con didascalie, lasciando al lettore l’emozione delle immagini di queste splendide montagne.
La performance di Thomas Reichegger testimonia infine il fatto che anche nell’estrema periferia del nostro Paese crescono alpinisti, che nel quasi anonimato compiono imprese importanti, in un territorio non così famoso come i grandi colossi delle Alpi, ma altrettanto avvincente e selvaggio.
Testo di Vittorio De Zordo