Douglas Freshfield, dalla Presanella al Kangchenjunga
La prima ascensione della Presanella, compiuta nel 1864, è solo una delle imprese di un protagonista dell’alpinismo e dell’esplorazione tra l’Otto e il Novecento. Oltre che sulle Alpi, l’inglese ha viaggiato in Africa, nel Caucaso e intorno al Kangchenjunga
Un giorno di fine agosto del 1864, cinque uomini partiti da Vermiglio, in Trentino, salgono verso una grande montagna che domina la strada del Tonale. S’incamminano nel pomeriggio, salgono tra boschi di abeti, pietraie e prati ricchi di fragole, bivaccano in una baita diroccata. I pastori che la abitano, e che accolgono i forestieri, raccontano di dove fare dei turni di guardia per tenere gli orsi lontani dalle pecore.
Alle tre di mattina del 25 agosto, lasciata la zona dove oggi sorge il rifugio Denza, gli alpinisti mettono piede sul ghiacciaio. Il primo tratto è facile, poi François Dévouassoud, guida di Chamonix, inizia a tagliare con la piccozza i gradini necessari per salire a una forcella. “Bien! Tout est facile!” grida alla fine di questa fatica. Il tratto più impegnativo attende la comitiva più in alto, perché l’aerea cresta che conduce ai 3558 metri della cima è ghiacciata.
Ma Dévouassoud continua a scavare gradini, e la cordata raggiunge il ripiano di neve della cima, da cui appaiono l’Ortles, il Bernina e perfino il lontano Monte Rosa. Più vicino, il Pian di Neve dell’Adamello sembra “un enorme lenzuolo disteso sopra a un tavolo”.
Fanno parte del gruppo altri due britannici, Richard Beachcroft e James Walker, e il portatore Bortolo Delpero di Vermiglio, che prima di quel giorno non aveva esperienza di ghiacciai e sulla cresta dev’essere aiutato con la corda. Il leader del gruppo è Douglas Freshfield, un protagonista degli anni in cui i britannici, tra l’Otto e il Novecento esplorano le montagne dell’Europa e del mondo.
Il diciannovenne londinese alla scoperta delle Alpi
Nato a Londra nel 1845, Freshfield trascorre le vacanze estive sulle Alpi, e inizia fin da ragazzo a percorrere boschi, sentieri e ghiacciai. Sale il Gran Paradiso e il Monte Bianco. A diciannove anni, nel 1864, volge la sua attenzione verso le Alpi centrali e orientali che i soci dell’Alpine Club, fino ad allora, hanno percorso pochissimo.
L’ascensione della Presanella è solo una tappa di un viaggio che lo conduce dal Lago di Ginevra fino a Trento. Tra un ghiacciaio e l’altro, l’inglese e i suoi amici si addentrano tra le guglie delle Dolomiti di Brenta. A emozionare Freshfield è soprattutto la Val Genova, che il torrente e le cascate rendono “la Versailles dell’Italia settentrionale”.
Per l’inglese, la valle è “una trincea profonda ottomila piedi, tagliata tra le masse dell’Adamello e della Presanella”. Ammira soprattutto la cascata di Nardìs, “che balza giù dal cielo, vibrando, verso le nostre teste in una duplice colonna”.
Nel 1864, l’inglese traversa più volte il confine tra il Regno d’Italia l’Austria-Ungheria, che passa per il Tonale e lo Stelvio e che due anni dopo verrà superato da Garibaldi e dai suoi volontari diretti in armi verso il Trentino. Freshfield litiga con i gendarmi imperiali, che vorrebbero rimandare indietro Dévouassoud che non ha con sé un passaporto.
All’inglese piacciono invece gli irredentisti trentini. Una simpatia ricambiata, tanto che Il libro che Freshfield dedica nel 1875 ai suoi viaggi nella zona sarà tradotto un secolo dopo, con il titolo “Le Alpi italiane”, per festeggiare il centenario della SAT nel 1972.
Anche la prima ascensione della Presanella è uno sfregio involontario all’Austria-Ungheria. Tre settimane dopo, il 17 settembre, il topografo boemo Julius von Payer arriva in cima con la guida Girolamo Botteri. Crede di essere il primo, e invece scopre l’ometto di pietre e i biglietti da visita degli inglesi.
Dal Caucaso agli Appennini
Nei decenni che seguono Douglas Freshfield esplora montagne in tutto il mondo. Compie tre spedizioni nel Caucaso (1867, 1887, 1889). Nel 1905, un anno prima della vittoria del Duca degli Abruzzi, tenta il Ruwenzori, la terza montagna dell’Africa. Grazie alla sua carriera di esploratore e alpinista, diventa presidente dell’Alpine Club e poi della Royal Geographical Society.
Nella primavera del 1875 l’inglese torna in Italia, e con il fido Dévouassoud sale la Pania della Croce, nelle Alpi Apuane, e il Corno Grande del Gran Sasso, che trova abbondantemente innevato. Anche in Abruzzo, l’abilità della guida nell’intagliare gradini risolve il problema. Due giorni dopo, da Brindisi, l’inglese e la guida s’imbarcano per l’Asia.
Lo straordinario, per l’epoca, periplo del Kangchenjunga
L’impresa più famosa di Freshfield arriva nel 1899. E’ il periplo del Kangchenjunga, la terza cima della Terra, che offre un meraviglioso colpo d’occhio a chi la osserva da Darjeeling, in India, e il cui versante occidentale scende in territorio nepalese. L’accesso al Nepal è vietato agli stranieri, ma l’alpinista inglese parte lo stesso.
Con lui sono Edmund Garwood, topografo e alpinista dello Yorkshire, Angelo Maquignaz guida di Valtournenche, e tre biellesi. Vittorio Sella, che “è noto da anni in Europa come uno dei migliori fotografi di montagna”, suo fratello Erminio ed Erminio Botta, l’assistente che lo accompagnerà anche al K2 nel 1909.
Con i sei europei cammina Rinzing Namgyal, un montanaro del Sikkim che ha già compiuto il periplo del Kangch d’inverno. Sui 6160 metri del Jongsong La, il punto più alto, Freshfield e Garwood hanno bisogno della sua mappa e dei suoi appunti per trovare la giusta via.
Douglas Freshfield e gli altri si imbarcano a Marsiglia all’inizio di agosto 1899. Il 5 settembre partono da Darjeeling annaffiati dagli scrosci del monsone. Kalimpong, frontiera tra l’India britannica e il Sikkim, permette all’inglese di raccontare “una storia che sarebbe piaciuta a Rudyard Kipling”. Quella della fuga d’amore, verso il Tibet, “di un soldato inglese accusato di aver rubato la cassa del reggimento e di una ragazza tibetana che si era innamorata di lui”.
Da Gangtok, la capitale del Sikkim, si continua verso le gole del fiume Teesta, il monastero di Lachen e il ghiacciaio di Zemu. Poi il tempo migliora, e compaiono le montagne. Sella scatta molte foto del Kangchenjunga, con “le sue pareti di terrificante ripidezza, più alte di quelle del Monte Rosa da Macugnaga”.
Quando il tempo diventa bello inizia il periplo del versante settentrionale del Kangch, verso la valle di Lhonak, il ghiacciaio di Jongsong e il Nepal. Oltre il Jongsong La attendono la spedizione i prati di Kangbachen e Ghunsa, “un villaggio di solide case di pietra, simili a quelle che si incontrano nelle Alpi Graie” dominato dalla sagoma dello Jannu.
“Provammo la rara felicità dell’avventuriero che ha scoperto qualcosa che vale tutte le sue fatiche” scrive Freshfield in “Round Kangchenjunga”, il libro che racconta l’impresa. I montanari di Ghunsa vendono ai forestieri uova, verdure, latte e patate. Le rupie dell’India britannica, per loro, sono una moneta conosciuta.
Un funzionario nepalese protesta perché gli stranieri non hanno un regolare permesso, ma un incontro con Freshfield e il dono di una bottiglia di whisky lo calmano. Il ritorno verso Darjeeling inizia di fronte a uno straordinario panorama, poi le nuvole avvolgono la montagna, ma i portatori sanno che il viaggio è quasi finito, e trottano “come cavalli che tornano verso le loro stalle”.
Una discesa tra rododendri e cascate porta a Dzongri, dove Freshfield e gli altri scoprono da un gruppo di inglesi che Darjeeling è stata devastata da piogge e frane e che la spedizione viene data per dispersa dalla stampa di Calcutta e di Londra.
Dal Gocha La, oggi classica meta per i trekker, i viaggiatori ammirano “la stupenda cresta Est del Kangchenjunga”. L’ultima sera, un enorme falò celebra la fine del viaggio. A Darjeeling una sentinella dotata di cannocchiale lo vede, e invia al governatore del Bengala un dispaccio. “Sul Kangchenjunga è nata una nuova stella”.